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Vicenza

Lotta al coronavirus: via alla nuova pillola per i primi 86 malati

Arriva a Vicenza la pillola antivirale messa a punto dal colosso farmaceutico americano Merck Sharp & Dohme. L’obiettivo è identico a quello che ha ispirato l’avvento degli anticorpi monoclonali, anche se i risultati dovrebbero essere inferiori: evitare il ricovero in ospedale e, quindi, una eccessiva occupazione di posti-letto, impedendo un pericoloso intasamento soprattutto delle terapie intensive con il conseguente default dell’assistenza. Partono questa settimana al San Bortolo i trattamenti con il Molnupiravir, il primo farmaco anti-Covid per via orale a essere registrato. L’Agenzia regolatoria britannica lo ha autorizzato il 4 novembre scorso e nel Regno Unito è stato usato come cura standard per decine di migliaia di malati. L’Aifa ha dato via libera oltre un mese dopo. Le indicazioni terapeutiche, come modalità operative, sono apparse sulla Gazzetta ufficiale il 29 dicembre per diventare efficaci dal giorno dopo. E ora l’inizio della somministrazione del medicinale distribuito in Italia dalla struttura commissariale per un totale finora di 11.899 confezioni di cui 1.440 al Veneto, ciascuna da 40 compresse. 
Il San Bortolo potrà effettuare in questa fase iniziale 86 cicli di trattamento per un totale di 1.720 compresse da 200 milligrammi. Ogni paziente dovrà assumerle per 5 giorni consecutivi. Per la prescrizione si dovrà utilizzare un registro di monitoraggio accessibile on line sul sito dell’Aifa. «È come una terapia antibiotica», spiega il primario di malattie infettive Vinicio Manfrin coinvolto in prima persona anche in questo nuovo progetto contro la pandemia. Per avere un’idea della spesa a carico del Ssn, basti pensare che negli Usa un singolo trattamento costa intorno ai 700 dollari. Molnupiravir agisce andando a sovrapporsi ad un filamento di Rna virale, bloccandone la crescita e inibendone la capacità di replicarsi. La pillola che combatte il coronavirus è destinata a persone non ricoverate in ospedale che manifestino una malattia lieve-moderata, ma a rischio di sviluppare una forma grave, e va presa entro 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi. «È un’altra arma a disposizione – dice Manfrin – anche se i benefici sono relativi. In un primo tempo gli studi preliminari di fase 3 avevano indicato una riduzione del rischio del 50 per cento, ma in seguito l’azienda produttrice ha fatto sapere che l’efficacia non supera il 30 per cento, vale a dire meno rispetto agli anticorpi monoclonali». Anche la pillola antivirale va perciò riservata alle categorie che presentino fattori di rischio. Promette invece molto meglio la pillola prodotta dalla Pfizer, il Paxlovid, che dovrebbe arrivare a febbraio ma per la quale non c’è ancora il sì di Aifa. I risultati di uno studio su pazienti ad alto rischio mostrerebbero un’efficacia dell’89 per cento nel prevenire ospedalizzazione e morte. In questo caso si tratta di una piccola molecola di sintesi che, bloccando la proteasi vieta al virus la possibilità di dotarsi di proteine mature in grado di moltiplicarsi. 
Domani al San Bortolo ci sarà una riunione con il direttore sanitario Salvatore Barra, la direttrice medica Romina Cazzaro e lo stesso Manfrin per mettere a punto aspetti prescrittivi, normativi e organizzativi. L’antivirale potrà essere somministrato dal primario e dagli altri specialisti del reparto ai pazienti sintomatici intercettati in pronto soccorso, ma potrà essere anche portato a domicilio dei malati dai medici Usca delle squadre Ulss. Intanto, in ospedale si potrà andare avanti ancora per qualche giorno anche con i monoclonali, quasi esauriti. Giungono scorte da altre regioni. Vicenza potrà centrare il traguardo delle 700 infusioni.

Franco Pepe

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