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Otto anni fa a Vicenza

Accoltellata dall'ex in discoteca. La storia di Laura in un documentario Sky: «Sopravvissuta per un millimetro e mezzo»

Laura Roveri in un frame del documentario Sky "Femicide. Nel nome delle donne" e, nei due riquadri, due momenti dell'aggressione del 12 aprile 2014 a Vicenza
Laura Roveri in un frame del documentario Sky "Femicide. Nel nome delle donne" e, nei due riquadri, due momenti dell'aggressione del 12 aprile 2014 a Vicenza
Laura Roveri in un frame del documentario Sky "Femicide. Nel nome delle donne" e, nei due riquadri, due momenti dell'aggressione del 12 aprile 2014 a Vicenza
Laura Roveri in un frame del documentario Sky "Femicide. Nel nome delle donne" e, nei due riquadri, due momenti dell'aggressione del 12 aprile 2014 a Vicenza

«Un colpo ha sfiorato di un millimetro e mezzo la carotide, ferendo la trachea. In quel momento sentivo l'aria entrare da questo taglio sul collo e il sangue uscire». Era la sera del 12 aprile 2014. All'interno della discoteca Victory, a Vicenza, l'allora 25enne veronese Laura Roveri viene colpita con quindici coltellate dal suo ex, Enrico Sganzerla. Sopravvive per miracolo. Per quel millimetro e mezzo. Oggi, otto anni dopo, Laura è mamma e porta avanti la sua battaglia contro la violenza di genere, sui social e nelle scuole. E ora ha raccontato la sua storia nel documentario "Femicide. Nel nome delle donne", prodotto da Sky Original e disponibile dal 14 febbraio. Un racconto che indaga l'ondata di femminicidi in Italia, da nord a sud del paese, concentrandosi su alcuni casi che hanno scosso l’opinione pubblica, per comprendere le ragioni di un fenomeno che affonda le radici in una crescente cultura della violenza contro le donne. Laura come Nunzia, Lorena, Alba Chiara. La storia di una sopravvissuta, i ricordi dei familiari di una vittima, le testimonianze di amici e parenti di una donna uccisa dal compagno. Sono alcuni dei casi di violenza, soprattutto violenze domestiche, che vengono raccontati nel documentario e che testimoniano un fenomeno senza confini, che si estende in contesti sociali e culturali eterogenei.

 

 

Laura ripercorre quei terribili momenti vissuti otto anni fa, quando per ben due volte in appena una settimana è rimasta appesa a un filo sottile tra la vita e la morte. Prima le coltellate, poi un aneurisma cerebrale e una nuova operazione d'urgenza. La voce si interrompe, la commozione prende il sopravvento. «La mia relazione con questo uomo è per me, ancora oggi, un enigma. Io che ero sempre stata indipendente e molto attenta ai diritti delle donne ho iniziato piano piano ad accettare dei comportamenti assolutamente inaccettabili. Ho permesso a questa persona di limitare la libertà della mia vita quotidiana». 

Quella sera di aprile del 2014 Enrico Sganzerla, veronese di Cerea, dopo averla tempestata di chiamate e minacce sin dal primo pomeriggio, si presentò improvvisamente nel locale in zona Villaggio del Sole dove Laura si trovava per festeggiare il compleanno di un amico. «Mi ha chiesto di andare fuori per parlare. L'ho seguito e lì ho fatto la cosa più sbagliata: non consiglio a nessuna di andare all'ultimo appuntamento chiarificatore, di fare l'ultima chiacchierata...». Sono trascorsi circa venti minuti dall'ingresso di Sganzerla nel locale, quando ad un certo punto si sentono delle urla. «Urla di terrore», come ricorda Stani Somma, responsabile dei vigilantes delle "Pantere", in servizio quella sera e tra i primi ad accorrere. La scena che si ritrovò davanti non la dimenticherà più. «Ho visto una persona con in mano un coltello e una ragazza, vestita di bianco, in un lago di sangue». Quindici coltellate. Laura non è una vittima di un raptus, ma è la sopravvissuta di un tentato femminicidio. Il processo - «è stata pronunciata la frase "coltellate leggere" - e la successiva condanna (7 anni poi ridotti a 5, per lo più ai domiciliari) fanno altrettanto male, se non di più. Ma Laura ce l'ha fatta e oggi può dire di essere rinata. «Tutto quello che sta succedendo, che è successo e che succede quotidianamente nei confronti delle donne credo abbia una matrice comune, che sia uno stupro, una molestia sul lavoro, un tentato omicidio o uno schiaffo. È importante per noi uscire da quella zona di silenzio, di vergogna. Per questo alle donne dico di non colpevolizzarsi».

 

Nel 2021 almeno cento donne in Italia sono state vittime di violenza da parte di uomini che un tempo amavano. In circa il 70% dei casi, i responsabili sono gli uomini con cui quelle donne vivevano, negli altri si tratta di ex compagni o ex mariti. Violenze che hanno visto un incremento nei mesi di lockdown, in cui oltre a essere cresciuti i femminicidi sono enormemente aumentate le chiamate di emergenza ai centri antiviolenza o alle forze dell'ordine rispetto all’anno precedente. La crescente cultura della violenza contro le donne, fisica e simbolica, è affrontata nel documentario anche attraverso una serie di interviste a specialiste come le sociologhe Sveva Magaraggia e Graziella Priulla, Anna Conigliaro Michelini, direttrice "Famiglia Materna" e Lella Palladino, presidente della "Cooperativa anti-violenza E.V.A.". Non mancano gli interventi della senatrice di +Europa Emma Bonino e di Laura Boldrini, parlamentare del Partito Democratico. "Femicide. Nel nome delle donne è un documentario Sky Original prodotto da Forest Troop, Ladoc, Al Jazeera e Sky, per la regia di Nina Maria Paschalidou

Nicola Gobbo

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