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Il virus

La pandemia dei bimbi. Sono 30 quelli ricoverati in pediatria al San Bortolo

Il reparto Il reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale San Bortolo
Il reparto Il reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale San Bortolo
Il reparto Il reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale San Bortolo
Il reparto Il reparto di terapia intensiva pediatrica dell’ospedale San Bortolo

Trenta bambini da 40 giorni di età a 14 anni ricoverati per Covid nella pediatria del San Bortolo da dicembre a oggi. Tutti non vaccinati. Con genitori non vaccinati. Ed è un grosso numero pure in un contesto nazionale perché rappresenta la spia di una pandemia molto diffusa nella fascia pediatrica in città e nei comuni dell’Ulss Berica. La pediatria diventa, dunque, sempre più baricentro dei ricoveri come area-Covid, tanto che per la Tiped, la terapia intensiva pediatrica di Vicenza, è in arrivo il riconoscimento di centro di riferimento regionale per la pandemia assieme a Padova e a Verona.

Solo nei primi 20 giorni di gennaio per il pronto soccorso pediatrico dell’ospedale sono transitati oltre 300 bambini positivi, tutti sintomatici, anche se la maggior parte in condizioni non gravi. Oggi, contagiati dalla variante Omicron, nei letti di isolamento, distribuiti fra reparto e pronto soccorso, ce ne sono cinque. Altrettanti, figli di mamme positive, si trovano, in osservazione, in ostetricia. In più, per le conseguenze di un virus che in questa quarta ondata interessa soprattutto i più giovani non protetti dal vaccino; una ragazzina di 10 anni respira grazie al ventilatore da tre settimane in Tiped per una forma di long-Covid che si chiama Mis-C, una sindrome infiammatoria multisistemica che attacca cuore, polmoni, reni. Infine, da dieci giorni, altri due bambini di 6 e 10 anni ricoverati per la sindrome di Kawasaki, una infiammazione dei vasi sanguigni, che se non diagnosticata rapidamente entro una decina di giorni può danneggiare irreparabilmente le coronarie, e, che, anche dopo la guarigione, obbliga a un monitoraggio periodico dell’apparato cardiaco per anni. 
 

«Si curano - spiega il primario Massimo Bellettato - con le immunoglobuline, che sono degli anticorpi, e, in alcuni casi, con il cortisone e l’aspirina. Per uscire dalla fase acuta occorre un mese di terapie». La sindrome di Kawasaki salì alla ribalta a Bergamo tra febbraio e aprile del 2020, quando i pediatri dell’ospedale Papa Giovanni XXIII riscontrarono un forte incremento degli accessi di bambini affetti dalla malattia di Kawasaki. I sintomi: febbre, congiuntivite bilaterale, arrossamento delle labbra, eruzione cutanea, ingrossamento delle ghiandole, interessamento delle coronarie, anche non tutti presenti contemporaneamente. 
«È una forma post-Covid che ha una correlazione stretta con il virus– spiega ancora Bellettato - Tutti i bambini nei quali è stata scoperta avevano avuto il tampone positivo e contatti ravvicinati con persone malate o reduci dall’infezione». Denominatore comune l’assenza di copertura vaccinale in tutti i ricoverati, anche nei ragazzini da 5 a 11 anni che dal 16 dicembre sono ammessi alla vaccinazione. 

«I genitori - dice il primario - devono pensarci attentamente. Non si tratta di una banale influenza, e questa è una fase in cui i bambini sono molto esposti. Con dati così preoccupanti non ci si può più permettere di non vaccinarli. Non è grave solo la malattia. Pure l’isolamento è un rischio. Dal 2019 al 2021 a Vicenza c’è stato un incremento del 25% dei ricoveri per cause di natura psichiatrica. Ci sono bambini che tentano il suicidio. Il disagio è sanitario e sociale. Non si può restare indifferenti». 

 

Franco Pepe

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