<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Siccità

La falda acquifera è ai minimi. È peggio del 2003

Villaverla, giugno 2003. Al centro idrico di Novoledo telefona una signora, agitata e preoccupata: «Pronto, qui non abbiamo più acqua, dal rubinetto non esce neanche una goccia, cosa sta succedendo?». Dopo di lei, in quelle ore bollenti, cominciano a fioccare chiamate allarmate da ogni parte di Dueville, Caldogno, Sandrigo. «Decine e decine di telefonate, tutte uguali: i pozzi, in quell’estate passata alla storia come una delle peggiori da quando esistono le rilevazioni meteorologiche, erano completamente asciutti e la gente fu costretta a chiedere soccorso a vicini e amici». Lorenzo Altissimo, ex direttore del centro idrico di Novoledo, quelle concitate e roventi giornate di 19 anni fa se le ricorda perfettamente. Così come ricorda le circostanze che portarono all’esplosione della bolla idrica, a partire da una primavera di eccezionale siccità che sembra fare il paio a quanto sta accadendo oggi. «Anzi, stavolta è pure peggio», avverte Altissimo, che di quel periodo e di tutta la ventennale attività alla guida del centro idrico (oggi sotto Viacqua, come centro “Rive”) conserva una mole di dati preziosi per decifrare il quadro attuale.

All’inizio di giugno di 19 anni fa, il livello di falda - già pesantemente da bollino rosso - era più alto rispetto allo stato odierno. Il campione di riferimento preso in esame da Altissimo è un pozzo situato a Dueville, chiamato “numero 22”. Ebbene, nel giugno 2003 misurava 53.10 metri. Oggi, giugno 2022, misura 52.65 metri. «Siamo già sotto di quasi mezzo metro e le cose peggioreranno almeno fino a settembre/ottobre», ammonisce Altissimo. Questo perché, sempre in un confronto con l’annus horribilis 2003 (precipitazioni ridotte del 50 per cento, temperature bollenti, etc) la condizione di partenza era comunque migliore di quella che ci si trascina dietro dal 2021, con riserve nivo-idriche ai minimi storici. «Da inizio anno la falda sta calando di diverse decine di centimetri al mese ed è un processo che non si arresterà fino all’autunno», ribadisce Altissimo. A gennaio il pozzo 22 era a 53.96 metri, a febbraio a 53.34, a marzo a 53.16, ad aprile a 52.65. Un valore, questo, che è rimasto bloccato fino ad oggi solo per il modesto contributo della scarsa neve montana, scioltasi da maggio in poi.

Il problema però, è che oltre ai fattori ambientali e climatici difficilmente controllabili e modificabili a breve termine, a prosciugare le risicate riserve di risorgiva ci si mette la disattenzione - quando non proprio la negligenza - delle persone. «È inaccettabile la dispersione di acqua attraverso pozzi che rimangono sempre, costantemente, aperti», è la denuncia di Altissimo. Pozzi domestici che erogano a tutte le ore, tubi di gomma da giardino zampillanti dalla mattina alla sera, impianti di irrigazione casalinghi in funzione quando in diverse località si è già costretti a razionare l'acqua ed è la stessa agricoltura ad essere a rischio.

«Troviamo esempi di spreco un po’ in tutto il territorio, basta fare un giro per scoprire case ma anche luoghi aperti al pubblico, tipo i cimiteri, dove si butta letteralmente l'acqua». Proprio Altissimo aveva realizzato qualche anno fa un censimento dei pozzi artesiani nel Vicentino. Ne sono stati conteggiati migliaia in una decina di Comuni non legati all'acquedotto: Dueville, Caldogno, Costabissara, Sandrigo, la zona sud di Villaverla, Bressanvido, Bolzano, Quinto, Torri di Quartesolo e una fascia di Vicenza tra la strada Pasubio, la Marosticana e Bertesina. «Il tempo delle raccomandazioni è finito - conclude Altissimo - si deve passare alle ordinanze». Il pericolo è di trovarsi a rivivere i giorni nefasti dell’estate di quasi vent’anni fa: «Pronto, aiuto, qui non abbiamo più acqua».

 

Leggi anche
Il dramma dei pesci in asfissia. Acqua fino a 60 gradi nei fiumi

 

Giulia Armeni

Suggerimenti