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Il rettore vicentino

«In coda per fuggire: l’esodo dei profughi dissangua l’Ucraina»

«Siamo diventati una task force di intervento rapido. Arriva una chiamata e partiamo». Una capacità di risposta che potrebbe far pensare a una squadra di professionisti dell’emergenza, e invece si tratta di giovani seminaristi. Sono gli ingranaggi preziosissimi della macchina degli aiuti messa a punto a Uzhgorod anche grazie al contributo di don Francesco Andolfatto, rettore vicentino del seminario Redemptoris Mater della città dell’Ucraina occidentale, a 4 chilometri dal confine con la Slovacchia. Un centro di 120 mila abitanti che negli ultimi giorni ha raddoppiato la sua popolazione, per effetto dell’esodo degli sfollati provenienti dalle città bombardate e sotto assedio. Lì, don Andolfatto, 41 anni, originario di Tezze sul Brenta, oltre a guidare il seminario a rito bizantino della diocesi greco cattolica, è diventato un punto di riferimento della gigantesca onda di solidarietà che arriva da tutto il mondo e che per essere efficiente ha bisogno di braccia, mani, gambe e di un assetto flessibile perché le esigenze sono innumerevoli, ci spiega il rettore raggiunto al telefono. Da Uzhgorod passano ogni giorno fiumi di persone che lasciano il Paese in auto formando code chilometriche. Soprattutto nella prima settimana di guerra il sacerdote vicentino e i seminaristi sono stati impegnati a distribuire bevande calde e panini alle famiglie in attesa nei loro abitacoli di oltrepassare la frontiera. Ma c’è anche chi ha bisogno di ospitalità. «Arrivano da tutta l’Ucraina - racconta don Francesco - e vengono sistemati ovunque. Due giorni fa sono andato a celebrare una messa per i rifugiati in un centro sportivo. La gente ha aperto le proprie case e lo stesso seminario accoglie una settantina di persone, tra seminaristi e formatori di altri istituti di Kiev, Vinnycja e Zhytomyr». Il resto della struttura è adibito a magazzino e centro di smistamento per gli aiuti umanitari che arrivano da ogni dove. «Li riceviamo senza cercarli, mi chiamano dall’Inghilterra, dall’Irlanda, dalla Germania e persino da Taiwan, oltre che dall’Italia, per offrire sostegno, ospitalità, ma anche donazioni. Vestiti, cibo, medicinali. E i ragazzi sono sempre a disposizione, tutta Uzhgorod sa che basta chiamarci e noi siamo come una squadra pronta in breve tempo a intervenire per scaricare il materiale che arriva e caricarlo su altri mezzi che trasportano i generi di prima necessità dove c’è più bisogno; io, in particolare, faccio un po’ da terminale sfruttando le mie conoscenze italiane e polacche». Al seminario ha fatto tappa tra sabato e domenica anche l’associazione di Altavilla Vicentina Energia e sorrisi che ha portato due tir di aiuti.
C’è un’intera città che sta rispondendo all’sos: «Anche la comunità degli avventisti, ad esempio, sta mettendo a disposizione degli spazi per stoccare il materiale». Prima della sua distribuzione: «Noi forniamo le famiglie attraverso le parrocchie rimaste attive, anche a Kiev». Una rete di aiuti che però rischia di essere fiaccata dalla scarsità di benzina disponibile. «Dobbiamo fronteggiare il razionamento del carburante che in questo momento viene utilizzato soprattutto per lo sforzo bellico», ammette il vicentino, che assiste ogni giorno a scene dolorose. «Quello che mi fa più paura? Il potenziale umano che sta dissanguando l’Ucraina. Non mi intimorisce vedere un palazzo che crolla, lo ricostruiremo, ma la gente che scappa, sì, sapendo che forse molti non torneranno più. E poi ci sono i traumi, le famiglie che si separano, i padri che accompagnano alla frontiera mogli e figli piccoli». Il conflitto ha sconvolto ogni cosa e la inchioda a un eterno presente. «La guerra ti dà la sensazione che tutto ciò che prima era scontato ora non lo è più, tutto si è bloccato, non è più possibile pensare al domani, nessuno fa più progetti, non sappiamo cosa succederà». Ecco perché, sebbene la città sia lontana dalle zone più calde del conflitto, nessuno si sente al sicuro: «Anche stanotte alle due sono scattate le sirene dell’allarme antiaereo. Quando suonano bisogna alzarsi e correre nei rifugi. La gente scende in cantina o si sistema nelle stanze della casa protette dai muri portanti. Noi abbiamo aperto la cripta della cattedrale, ci si rifugia accanto alle tombe dei vescovi defunti». «Questa è una guerra fratricida - conclude il rettore -. Tra persone che fino all’altro giorno si capivano perfettamente. La stessa cosa accade nelle nostre famiglie, cominciano i conflitti e nessuno sa perché. E allora non mi scandalizza la guerra perché appartiene alla nostra debolezza. Penso sia una prova che ci chiama tutti a cambiare il nostro cuore».

 

Laura Pilastro

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