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Vicenza

Il vescovo si dimette: «Vorrei ritirarmi in una parrocchia»

Il 15 giugno monsignor Beniamino Pizziol compirà 75 anni, età nella quale il diritto canonico prevede che un vescovo, ma anche un parroco, rinunci al proprio incarico. In realtà la lettera al nunzio apostolico in Italia, l’atto formale delle dimissioni, il vescovo di Vicenza l’ha già presentata qualche mese fa: «Così ho voluto dare più tempo perché venga scelto il successore quanto prima», spiega con un sorriso. Papa Francesco potrebbe anche chiedergli di rimanere, però il desiderio di Pizziol è proprio quello di togliersi il peso delle responsabilità che, per quanto riguarda la diocesi di Vicenza, porta da undici anni, dato che il suo servizio pastorale è iniziato il 19 giugno 2011. E poi? «E poi vorrei ritirarmi in una parrocchia, restando a disposizione del parroco per quanto serve, condividendo la fraternità presbiterale con i sacerdoti, incontrando persone, studiando». Sarà una parrocchia vicentina, questa è l’unica certezza: «Condivido quanto diceva il cardinale Marco Cé, esiste un rapporto sponsale tra un vescovo e la sua diocesi, anche dopo le dimissioni». Non è detto che non segua un suo predecessore, il vescovo Pietro Nonis, che dopo essersi ritirato andò ad abitare a Brendola, nella residenza oggi nota come Villa Vescova.
La diocesi Quella di Vicenza è una chiesa tra le più impegnative d’Italia. Al decimo posto, su 222, per numero di abitanti (850 mila), di preti (389), di parrocchie (355). Con un carico conseguente, soprattutto da punto di vista amministrativo, che è poi la parte che il vescovo Pizziol, per sua stessa ammissione, ha sofferto maggiormente: «Due dei tre compiti che ci sono richiesti, cioè l’evangelizzazione, con il contatto con le comunità, e la santificazione, vale a dire i sacramenti, mi sono piaciuti molto. Il governo della diocesi, invece, è molto complesso. C’è il pericolo che la parte pastorale venga assorbita dai problemi amministrativi. Quest’ultimo periodo lo sto vivendo con più intensità, direi con più gusto. Non vuol dire che non mi impegni, anzi, tra un paio di settimane, come di consueto, comunicherò i vari trasferimenti dei sacerdoti».
I preti Se da un lato, in 11 anni da vescovo, Pizziol ha consacrato 37 sacerdoti («tra le gioie più grandi»), dall’altro ha celebrato 145 funerali. Quand’è arrivato erano 520 i preti diocesani, ora - come detto - il loro numero si è ridotto a 389. Il calo delle vocazioni è uno dei crucci maggiori: «È cambiata la fisionomia delle comunità cristiane. Prima i sacerdoti venivano formati in rapporto a una diocesi con una grande partecipazione, in un clima sociale favorevole, a Vicenza più che altrove. Negli ultimi decenni è cambiato tutto, e le comunità non corrispondono più alla formazione che un prete aveva ricevuto». Lo smarrimento, la solitudine sono difficili da affrontare, qualcuno non ce l’ha fatta e ha lasciato il sacerdozio: «È uno dei dolori più grandi. Abbiamo cercato di dare risposte: in particolare, ho insistito nel considerare le unità pastorali non una somma di parrocchie, sarebbe una situazione soffocante, ma una comunione di parrocchie. Ho introdotto la fraternità presbiterale, il fatto cioè che i preti vivano insieme, condividano momenti delle giornata. Attualmente ce n’è una settantina. Credo che al rischio di lasciare bisogna contrapporre un forte senso di comunità, di fede, e la capacità di capire i cambiamenti in atto. E probabilmente la formazione in Seminario deve includere un discernimento più accurato».
Gli scandali La Chiesa italiana, ma anche mondiale, è stata scossa negli ultimi anni da vari scandali, come la pedofilia di presunti pastori, la faciloneria di altri nel trattare gli aspetti economici. Come può ritrovare la fiducia delle persone? «Mettendo al centro la testimonianza evangelica - è il pensiero di Pizziol - Bisogna ripartire da Cristo con il suo Vangelo, cercando di esserne fedeli testimoni, con tutti i limiti umani. L’aspetto organizzativo è importante, certo, ma si presta attenzione solo a quello si rischia di diventare dei funzionari ecclesiastici, di pensare a ferie, stipendio, posto garantito. E da qui può discendere la mancanza di fedeltà al celibato, al Vangelo». Un altro aspetto problematico che cita il vescovo è la scelta di alcune parrocchie - «poche», rimarca - di viaggiare per conto proprio, come se la diocesi non ci fosse. «Si chiudono in sé, ma questo non è il cammino sinodale chiesto alla Chiesa». 
La pandemia Tra i motivi di maggiore sofferenza il vescovo Pizziol mette la guerra, e prima la pandemia con il suo carico di dolore. «Il 23 febbraio del 2020 ho fatto l’ultima celebrazione pubblica a San Giovanni in Monte. Poi è arrivata l’ordinanza del governo che le ha bloccate. Alla sera l’abbiamo tradotta in indicazioni per le parrocchie. La pandemia è stata un tempo faticoso, il blocco delle messe ha portato varie persone ad allontanarsi anche quando le cerimonie sono riprese. Ma credo abbia anche stimolato la preghiera in famiglia, la riflessione sulla propria stessa fede». Fino al 18 maggio di quell’anno, il vescovo Pizziol ha celebrato la messa da Monte Berico, ogni giorno, trasmessa da radio e televisione: «Abbiamo avuto anche 30 mila persone collegate, con una punta di 300 mila il 24 marzo, quando c’è stato l’atto di affidamento alla Madonna di Monte Berico». Quando è ripresa la possibilità di incontrare le persone, il vescovo ha ricominciato subito con i colloqui: «In questi 11 anni ho conosciuto migliaia di persone, prima di tutti i preti, all’inizio del mandato li ho incontrati uno per uno. Questi colloqui con i ragazzi, i giovani, gli adulti, gli anziani, gli ammalati, soprattutto durante le visite pastorali, sono tra i motivi di gioia maggiore». Visite che sono cominciate nel 2013 in Brasile, per andare a trovare i sacerdoti fidei donum, e poi nel 2014 in Camerun. «Era gennaio. Pochi mesi dopo due sacerdoti, don Gian Antonio Allegri e don Giampaolo Marta, furono rapiti per 57 giorni. Ricordo l’angoscia di quel periodo, le telefonate continue». E a proposito di fidei donum, la diocesi mantiene una presenza in Brasile, Thailandia, Mozambico: «Sono otto preti, ci farebbero comodo anche qui. Ho chiesto, ma tutti sono d’accordo nel confermarli». Una testimonianza, come la messa delle 8 in cattedrale con quella che è un po’ «la mia piccola parrocchia».

Gianmaria Pitton

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