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Il duplice femminicidio

Il presidente del tribunale: «I giudici da soli non bastano, servono misure di prevenzione»

La storia giudiziaria di Zlatan Vasiljevic, il bosniaco che ieri ha ucciso l’ex moglie e l’attuale compagna, con la quale era in crisi, prima di suicidarsi, insegna che «ci vuole una rete di protezione con una filiera virtuosa». Lo dice all’ANSA il presidente del Tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo, ricostruendo l’iter nelle aule di giustizia che ha portato al doppio femminicidio di ieri e al suicidio dell’autore del massacro delle due donne. Rizzo ripercorre le denunce ripetute di maltrattamenti fatte dall’ex moglie dell’assassino, che avevano dato luogo a due procedimenti giudiziari.

«È tutto ancora in corso di accertamento perché ci manca qualche elemento però quello che emerge in questo momento - sottolinea - è che lui è stato raggiunto da due procedimenti
penali, uno definito con una condanna in primo grado ad un anno e sei mesi, ridotta in Appello. Il Tribunale ha applicato una misura cautelare, coercitiva, attenuata poi nel corso del procedimento perché questa persona ha seguito un percorso di recupero». «Mi dicono che in Corte d’Appello la misura dell’allontanamento è stata revocata. La misura cautelare ha una durata definita - spiega - oltre la quale cessano naturalmente i suoi effetti». Rizzo dice «che la pena in Corte d’Appello è stata sospesa, non so per quale motivo. In ogni caso la sospensione della pena determina il venir meno dell’esigenza cautelare». «C’era un altro procedimento in corso di celebrazione ed era stato aggiornato per una modifica del capo di imputazione. Quindi i procedimenti penali erano due, uno definito con misura cautelare - riassume - e uno in corso».

In questo momento dunque Vasiljevic «non aveva alcun obbligo di non avvicinamento alla moglie perchè aveva definito un procedimento, con una condanna passata il giudicato con pena sospesa dalla Corte d’Appello, e per quanto riguarda noi - precisa - c’era un procedimento penale ordinario, a dibattimento». Quindi, «non c’erano misure cautelari nei confronti del bosniaco: quando sono state richieste - rileva Rizzo - sono state applicate».

Quanto accaduto porta il Presidente del Tribunale di Vicenza ad una riflessione più generale. «Può il sistema penale o quello giudiziario impedire in assoluto il verificarsi di fenomeni drammatici come quello accaduto? - si chiede - O si deve intervenire, come io penso, in termini di prevenzione, con il coinvolgimento contributivo di diversi soggetti che devono parlarsi e fare rete anche nel settore del codice rosso?». Per Rizzo «la sola misura penale o parapenale, penso all’ordine di protezione che viene adottato con il 441 bis del codice civile che io applico spesso quando la parte ricorrente nell’ambito di una separazione mi rappresenta di essere oggetto di vessazioni o minacce, è solo un ordine di allontanamento e di non avvicinamento. Ma se poi l’ordine non viene rispettato vuol dire che la misura di per sè contiene il rischio ma non lo neutralizza».
La sintesi, per il presidente del Tribunale è che «purtroppo
non possiamo pensare a misure cautelare permanenti, il sistema deve dare una risposta di ampio respiro e che coinvolga diversi interlocutori, l’autorità giudiziaria, il coordinamento dei prefetti, l’autorità di pubblica sicurezza, le forze di polizia, i comuni e i servizi sociali». «Pensare che sia l’autorità giudiziaria, da sola, a neutralizzare il rischio - conclude - è una illusione».

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