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Nel Vicentino

Il dramma dei pesci in asfissia. Acqua fino a 60 gradi nei fiumi

Da fonte di vita a trappola. I corsi d’acqua, in particolare quelli minori, si stanno trasformando in una minaccia per la fauna che li abita. Il problema è proprio l’acqua: poca, ferma e calda. Tanto calda, con picchi anche di 50-60 gradi nei punti più stagnanti. Un ambiente troppo ostile per i pesci, con il rischio concreto di morti di massa per mancanza di ossigeno. E così la polizia provinciale, che si occupa di tutela dell’ambiente e dello stato di salute della fauna selvatica, e i volontari dei bacini di pesca stanno battendo a tappeto le zone tradizionalmente più a rischio, per essere pronti a intervenire in tempi rapidi con salvataggi mirati. Anche mezza giornata, in queste condizioni, può infatti fare la differenza. 

L’ultimo intervento di salvataggio risale a ieri mattina, alle 6, a Castelgomberto dove gli agenti e i volontari pescatori del Bacino Agno-Chiampo hanno messo in salvo circa cento chili di cavedani, pesci d’acqua dolce tipici della zona, liberandoli più a valle, a Creazzo, nel fiume Retrone. I primi prelievi sono iniziati però ancora marzo. Alcuni programmati, con le rogge messe in secca e pulite, altri, quelli più recenti, per condizioni di emergenza. In totale, ad oggi, si contano una trentina di interventi, per altrettanti quintali di pesce recuperato. Si tratta, tuttavia, solo di una parte dei recuperi, dato che la maggior parte sono effettuati dalle associazioni di pescatori, vere e proprie sentinelle dei fiumi. 

«Siamo messi peggio del 2003, considerato tra gli anni più critici - Francesco Nassi della polizia provinciale - questo caldo anomalo, improvviso e prematuro; la siccità, la mancanza di riserva idrica e i prelievi richiesti dall’agricoltura stanno mettendo in difficoltà il sistema». A rischiare di pagarla più cara ci sono, come detto, anche i pesci. «I salmoidi, come le trote, resistono fino a temperature di 18-20 gradi - precisa Nassi - mentre i ciprinidi, come i cavedani, fino a 26-27 gradi. Il problema è che l’acqua in questi giorni arriva anche a 50-60 gradi dove il livello è particolarmente basso e non c’è scorrimento. I pesci vanno in grossa sofferenza, li si vede boccheggiare in superficie e poi, se non si interviene velocemente, muoiono». «È importante scongiurare le morie di pesci - continua l’agente della polizia provinciale - sia per il problema in sé, sia perché rischia di diventare anche un problema igienico-sanitario». Oltre che di costi, dato che il recupero e lo smaltimento sono in capo al Comune dove si trova l’area interessata. 

Il compito delle “sentinelle dei fiumi” è di prelevare i pesci in sofferenza e spostarli in punti più vivibili, in presenza di risorgive o buche più profonde, così da salvarli dall’asfissia. «Ma non si possono spostare a caso, vanno valutati ambienti con condizioni simili a quelle di partenza».
La lista delle segnalazioni si allunga di giorno in giorno. Solo nelle ultime ore si è parlato di Lonigo, Brendola, Sarego, Castelgomberto e pesci in sofferenza anche lungo la roggia di Zanè. «Stiamo riscontrando problemi lungo molti corsi d’acqua e mettere in salvo i pesci è diventata azione quotidiana - le parole del consigliere provinciale con delega alla polizia provinciale Mattia Veronese, che sull’emergenza idrica ha promosso un incontro per oggi alle 11 a palazzo Nievo - certo non si risolve il problema, perché se continua la siccità anche i corsi d’acqua maggiori inizieranno a soffrire». 

La carenza di ossigeno dovuta alla siccità è stata indicata da Arpav anche come causa della moria di pesci di fine maggio a Debba, nel Bacchiglione. E potrebbe non essere una faccenda chiusa dato che Arpav segnala «che il perdurare delle attuali condizioni meteo climatiche e la ridotta portata dei fiumi - sottolinea l’assessore all’ambiente Simona Siotto - potrebbero determinare nelle prossime settimane degli episodi analoghi se non più gravi». 

Alessia Zorzan

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