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Il delitto dei Berici
L’artigiano vittima
di un’esecuzione

I segni dei colpi di fucile sulla porta d’ingresso e i rilievi dei carabinieriIl sopralluogo dei militari dell’Arma nell’abitazione della vittimaLa casa di Pretto  a Zovencedo
I segni dei colpi di fucile sulla porta d’ingresso e i rilievi dei carabinieriIl sopralluogo dei militari dell’Arma nell’abitazione della vittimaLa casa di Pretto a Zovencedo
I segni dei colpi di fucile sulla porta d’ingresso e i rilievi dei carabinieriIl sopralluogo dei militari dell’Arma nell’abitazione della vittimaLa casa di Pretto  a Zovencedo
I segni dei colpi di fucile sulla porta d’ingresso e i rilievi dei carabinieriIl sopralluogo dei militari dell’Arma nell’abitazione della vittimaLa casa di Pretto a Zovencedo

Quella di Mauro Pretto è stata un’esecuzione. Il suo killer, tra venerdì e sabato, lo ha assassinato con ferocia ecfreddezza. È salito sino al casolare in contra’ Gazzo a Zovencedo in cui abitava (solo) l’artigiano di 47 anni portando con sé un fucile da caccia caricato a pallettoni. Appena la vittima gli ha aperto la porta l’assassino ha fatto fuoco. Un colpo solo, da quanto sinora farebbero pensare i rilievi eseguiti sul posto dai militari del nucleo investigativo di Vicenza, ma definitivo. Pretto infatti è stato colpito al petto ed è morto praticamente subito accasciandosi sull’uscio di casa dove è stato poi rinvenuto il giorno dopo dai due amici che erano saliti in cima al colle per cercare di avere sue notizie.

NESSUNA COLLUTTAZIONE. Tra la vittima e il suo assassino non c’è stata alcuna colluttazione. All’interno del casolare non è stato lasciato alcun segno del passaggio di altre persone oltre a quella di Pretto. Che la sera in cui è stato ucciso ha aperto la porta all’omicida con addosso ancora gli stessi vestiti che aveva quando, nel pomeriggio, era sceso al bar Kamasutra per vedere la tappa del Giro d’Italia di ciclismo. Al momento gli investigatori dell’Arma, coordinati dal maggiore Giuseppe Bertoli e dal luogotenente Marco Ferrante (tranne la rapina) non stanno escludendo alcuna pista. Una delle ipotesi, forse la più convincente finora, è che il killer fosse una persona conosciuta a Mauro Pretto e che venerdì sera, dopo essere salito sino al rustico, abbia chiamato l’artigiano chiedendogli di uscire aspettando che aprisse la porta per freddarlo. Ma non è da escludere nemmeno l’eventualità che la vittima avesse sorpreso l’omicida nel suo terreno provocandone la reazione.

UN COLPO SOLO. Per uccidere Pretto sarebbe stato sparato un unico colpo. Una fucilata con un’arma caricata a pallettoni (da qui l’impressione di un numero maggiore di cartucce) da una distanza non superiore a una decina di metri. Lo sparo avrebbe centrato l’artigiano in pieno provocandogli fori sia d’ingresso, sia in uscita, sulla schiena. Ferite che verranno analizzate con maggiore attenzione nel corso dell’autopsia che verrà effettuata sul cadavere dell’artigiano. Anche ieri i carabinieri sono tornati sul luogo del delitto per un ulteriore sopralluogo in cerca, magari, di qualche traccia o di un indizio in grado di far prendere una piega decisiva all’indagine. Che allo stato attuale non vedrebbe ancora nessun movente in grado di giustificare un delitto tanto efferato contro una persona apparentemente senza nemici. Un amante della natura e dei boschi nei quali, ormai da tempo, viveva immerso come una sorta di eremita; un “talebano” del verde così come veniva soprannominato.

I CANI. Mauro Pretto aveva cinque cani, cinque Pastori della Lessinia che quando non era a casa chiudeva nelle loro casette, ma la sera, quando tornava, poi lasciava liberi. Sabato, quando i carabinieri sono arrivati nel casolare gli animali, tranne uno, erano tutti chiusi nei loro spazi, forse dalla sera prima. Ma perché? Perché venerdì pioveva e l’artigiano non voleva che rimanessero sotto l’acqua. Oppure li aveva chiusi, al suo ritorno, perché attendeva la visita di qualcuno? Intanto gli investigatori, che in questi giorno hanno sentito almeno una trentina di persone, avrebbero certificato che la telecamera, sistemata sulla casa all’imbocco del sentiero che porta al casolare, è disattivata.

Matteo Bernardini

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