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Vicenza

I clienti calano del 40% e aumentano le spese: pausa pranzo "salata"

Dopo il caro-tazzina, tocca alla pausa pranzo. Da 50 centesimi fino a 2 euro, gli aumenti sul pasto di mezzogiorno sono già realtà. Da inizio gennaio, in concomitanza con l’esplosione dei rincari di luce e gas, diversi ristoranti sono stati costretti a ritoccare al rialzo il menù. Una questione di sopravvivenza, in molti casi, specie in un periodo che per la ristorazione è a tutti gli effetti un lockdown mascherato, come sottolineano gli addetti ai lavori. Fare un giro in centro in tarda mattinata per credere: «C’è il deserto – conferma Benedetta Miniutti, di “Passami il sale” in piazza Castello – sono entrate tre persone, in un martedì “normale” a pranzo almeno una ventina ne abbiamo».
Ma di normale - in questa seconda metà di gennaio segnata da contagi, preoccupazioni e incertezza – c’è gran poco. «Sta andando peggio dello scorso anno – sospira Miniutti – sia nei giorni lavorativi che nel weekend c’è pochissima gente, a Natale nessuno, ma dalla Befana è cominciata la discesa». Un calo verticale che il presidente della Fipe Confcommercio Gianluca Baratto stima in una perdita di oltre il 40% per i quattromila bar, trattorie, tavole calde, gelaterie, pasticcerie che compongono il variegato mondo della ristorazione berica. «Sono settimane difficili e temo che fino a febbraio la situazione non migliorerà», osserva. «Dopo un dicembre di “on-off”, con eventi aziendali, cene e pranzi cancellati dalla sera alla mattina, ci ritroviamo ora con locali vuoti perché moltissima gente è a casa positiva, come il personale di sala e cucina – sottolinea Baratto – spesso converrebbe tenere chiuso, ma chi può cerca di resistere e scavallare gennaio». A complicare un quadro già precario ci si mette il balzo dell’energia, con le ripercussioni – inevitabili – sulle tariffe.
«Solo per il riscaldamento siamo passati da 600 a 900 euro al mese, che per un’attività come la nostra è tantissimo – assicura Miniutti – stiamo cercando di tenere fermi sui prodotti, il caffè per ora resta a 1,10 euro, il coperto a 1,40, ma abbiamo alzato leggermente i prezzi del venerdì e del sabato, scegliendo di far pagare 50 centesimi in più la pasta fatta in casa – che passa a 6,50 euro - mentre quella acquistata rimane a 6».
Farina, carne e vegetali costano già notevolmente di più, come rileva Luca Semenzato, titolare del “Company” in strada Padana superiore verso Padova. «Tutto è aumentato, dal caffè alle bollette ed è stato necessario anche rivedere il listino», spiega. Da inizio gennaio nel suo locale le pause pranzo tradizionali – primo, secondo, contorno, acqua, caffè – sono passate da 12 a 14 euro. Un saltello di due euro «necessario, per me come per tanti colleghi» e di cui per ora la clientela non si è lamentata: «Chi viene da noi ha capito, purtroppo i rincari ci sono per tutti», ricorda Semenzato. Anche nel suo ristorante, dopo la chiusura durante le festività, la diminuzione di presenze e dunque di affari si aggira sul 30%, «rispetto ad un gennaio pre pandemia». «Le tavolate ormai non esistono più, prima avevamo comitive da venti- trenta persone, ora se arrivano gruppetti di otto è già un sogno», scuote la testa Semenzato. Che però guarda anche al bicchiere mezzo pieno: «Un anno fa potevamo lavorare solo come mensa aziendale, tutto sommato adesso possiamo stare aperti, anche se viaggiamo davvero con il freno a mano tirato», ribadisce.
E il rischio di chiusure, come già se ne segnalano da un capo all’altro della provincia, incombe: «Chi è giovane e ha strutture solide magari tiene duro – conclude il presidente Fipe Baratto - ma tante realtà storiche potrebbero non sopravvivere a questi due anni che hanno ridotto allo stremo l’intero settore». 

 

Giulia Armeni

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