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Il caso

Ditta vicentina risarcita con 5 milioni di euro per i lavori alla base americana

Alcuni dei complessi interni alla struttura militare americana Del Din (archivio)
Alcuni dei complessi interni alla struttura militare americana Del Din (archivio)
Alcuni dei complessi interni alla struttura militare americana Del Din (archivio)
Alcuni dei complessi interni alla struttura militare americana Del Din (archivio)

Quasi 5 milioni di euro. È la somma che il Consorzio emiliano Jv-Cmc-Ccc dovrà versare all’impresa vicentina “Gemmo spa” per i lavori svolti nella costruzione della base militare americana Del Din. La prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Acierno, ha infatti respinto il ricorso presentato dalla coop bolognese, tutelata dagli avv. Maurizio Angelini e Paolo Biavati, dando ragione alla società berica di impianti, assistita dagli avv. Giuseppe Caputi e Luca Ferrari.

Per comprendere i dettagli della vicenda, finita per carte bollate in cause durate molti anni, bisogna andare indietro nel tempo, negli anni in cui a Vicenza si battagliava sulla realizzazione di una seconda base Usa in città, che venne poi edificata e che da qualche anno ospita i soldati a stelle e strisce. Se ne discusse per anni, fino al cosiddetto “editto bulgaro” dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, che diede di fatto il via libera al progetto statunitense. Gli edifici vennero costruiti da diverse imprese, in prevalenza Consorzi e coop, per importi ingentissimi. Vi furono problemi non di poco conto; ad esempio, un’azienda veronese che lavorava in città, si scoprì, aveva connivenze con l’ndrangheta. Ma le opere del grande cantiere vennero comunque concluse.
Nell’ottobre 2007 il Consorzio subappaltò, con un accordo inter partes, alla Gemmo la realizzazione di impianti tecnologici a servizio di una serie di edifici della base. Diversi anni dopo, nel 2016 (dopo una discussione tecnica durata un paio d’anni, una scelta operata dalle parti per dirimere le molteplici questioni emerse in fase di pagamento delle opere), venne pronunciato un lodo arbitrale per dirimere le controversie sorte per il pagamento al termine dei lavori; il lodo stabilì che la coop versasse, a titolo di corrispettivo, 5,2 milioni di euro a Gemmo, oltre a 200 mila euro per il risarcimento danni per variante (l’installazione di una partita di cavi di rame) e 88 mila euro per opere extracontratto; al Consorzio invece vennero riconosciuti 890 mila euro per lavori non eseguiti, oppure completati ma non a regola d’arte. In totale, la Gemmo doveva percepire 4,6 milioni di euro. 


I bolognesi ricorsero alla Corte d’Appello del capoluogo emiliano; i giudici annullarono solo la parte dei 200 mila euro, rideterminando la somma che spettava ai vicentini in 4,4 milioni, dopo aver ascoltato il parere di un consulente tecnico d’ufficio sulle opere svolte e sui punti contestati.
Oggetto della contesa erano, fra l’altro, i costi di fornitura del materiale, di compenso per l’installazione dei cavi per le telecomunicazioni, la tardività delle riserve sulle opere eseguite. 
Davanti alla Suprema corte, entrambe le parti hanno sollevato delle eccezioni sulla sentenza di secondo grado, ritenendo di avere diritto ad un maggiore ristoro (i vicentini) o di dovere pagare una somma inferiore (gli emiliani). In realtà gli ermellini hanno respinto tutte le doglianze, a partire da quelle di Ccc sulle modalità di svolgimento dell’arbitrato, che rispettava le regole previste. Per Gemmo, invece, uno dei ricorsi è arrivato oltre i termini, e quindi non è efficace. Restano comunque quasi 5 milioni.  

Diego Neri

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