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Il documento

Detenuti antifascisti a San Biagio. L’elenco rispunta dopo 70 anni

I partigiani delle Brigate 7 Comuni il 26 aprile 1945 e la caserma di via Fratelli Albanese
I partigiani delle Brigate 7 Comuni il 26 aprile 1945 e la caserma di via Fratelli Albanese
I partigiani delle Brigate 7 Comuni il 26 aprile 1945 e la caserma di via Fratelli Albanese
I partigiani delle Brigate 7 Comuni il 26 aprile 1945 e la caserma di via Fratelli Albanese

Al numero 1883 della lista compare il nome di Luigi Massignan, di Emilio, residente a Montecchio Maggiore, arrestato dalle Ss il 2 novembre 1944. Appena sopra, al numero 1882, c’è Vittorio Mic. (Michele) Peroni, anche lui arrestato dalle Ss nella stessa data. Per entrambi, nella colonna “Destinazione”, c’è scritto “Rilascio”: in realtà nel dicembre del 1944 furono deportati al campo di concentramento di Mauthausen, da dove ebbero la fortuna di tornare vivi.  Non fu così per Torquato e Franco Fraccon, rispettivamente numero 1821 e 1820; e per Giacomo Prandina, numero 1886. La lista a cui si fa riferimento è l’“Elenco detenuti politici antifascisti” delle carceri giudiziarie di San Biagio, un prezioso documento recuperato fortunosamente poco tempo dopo la fine della seconda guerra mondiale, custodito per 67 anni in una cantina, e tornato alla luce grazie alla caparbietà di Romeo Covolo, ricercatore storico asiaghese, autore di numerose mostre e pubblicazioni, che ha fatto della Resistenza vicentina uno dei propri ambiti prediletti d’indagine - e difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti: suo padre Federico era un comandante partigiano tra i più noti, nome di battaglia “Brocca”; suo nonno Francesco fu ucciso per rappresaglia dai fascisti l’11 luglio 1944 a Canove di Roana. 

«Nel 2012 - racconta Covolo - stavo facendo delle ricerche sui gruppi partigiani dell’Altopiano. Le brigate erano due: le Fiamme verdi, che agivano ad Asiago e nella parte nord dell’Altopiano, e le Fiamme rosse, attive invece lungo la dorsale sud». Nelle Fiamme verdi militava Battista Rigoni, del ramo dei Boemo, nome di battaglia “Titti”, che il 27 febbraio del 1945 fu portato nel carcere di San Biagio - nell’elenco è registrato al numero 2393. Dopo la Liberazione tornò a Vicenza con la moglie e il figlio Stefano e volle andare a vedere il luogo dov’era stato detenuto e torturato. L’ex ala antifascista di San Biagio era pressoché sguarnita: lì Battista Rigoni trovò e portò con sé l’elenco dei detenuti. «Si tratta di un documento unico nel suo genere - nota Covolo - Nazisti e fascisti avevano l’ordine, quando abbandonavano un luogo, di distruggere eventuali prove di quanto avevano commesso. Invece quell’elenco sopravvisse». Rimase in casa Rigoni, all’insaputa di tutti, finché nel 2012 proprio Romeo Covolo, che stava cercando i registri dei partigiani altopianesi lasciati da Battista Rigoni, si è imbattuto nell’elenco di San Biagio: «Ne ho capito subito l’importanza storica e ho chiesto a Stefano, il figlio di Battista, di poterne avere una copia».

Soltanto tre anni dopo il ricercatore ha avuto a disposizione quella lista di circa 2.300 nomi, registrati dall’8 settembre 1943 al 26 aprile 1945. Si trattava però di riuscire ad avere un riscontro: nella Casa circondariale di San Pio X ci sono i registri mastri con le “schede matricolari” dei detenuti, «che però non distinguono tra arrestati nella sezione della pubblica sicurezza e quelli nella sezione dei prigionieri antifascisti. Ho chiesto e ottenuto di poter consultare quei registri, e ho verificato che coincidono con l’elenco ritrovato».
Quest’ultimo è scritto a macchina, con errori di battitura, di numerazione, di trascrizione dei nomi. Nel pubblicarlo, grazie alla collaborazione di Istrevi, Anpi, Avl Vicenza e della Fondazione di storia - che ha presentato il libro qualche giorno dopo, in occasione della Giornata della memoria - Covolo ha voluto conservare quegli errori, «per far capire nel modo più fedele possibile come fosse stato compilato l’elenco. Anche la scelta del formato orizzontale del libro è dovuta allo stesso motivo».

Dopo l’8 settembre ’43, servendosi soprattutto di delatori, i nazifascisti diedero il via a un’imponente serie di arresti, detenzioni, intimidazioni, interrogatori spesso accompagnati da violenze e torture, allo scopo di scardinare l’organizzazione partigiana e di incutere terrore nella popolazione, così da privare i partigiani stessi dei necessari appoggi. Le testimonianze dei sopravvissuti, alcune delle quali riportate nel libro di Covolo, parlano di violenze efferate, dalle percosse ai ferimenti con vari strumenti, fino all’utilizzo della famigerata “macchinetta”, un generatore elettrico che veniva collegato ai polsi, alle orecchie, sugli organi genitali, alle dita dei piedi. Ne parla nelle sue memorie, tra gli altri, anche don Antonio Frigo, già docente al Seminario vescovile di Vicenza, portato a San Biagio il 4 febbraio 1945: compare nell’elenco al numero 2310.

Particolarmente esperta in questi metodi brutali era la “Banda Carità”, fondata da Mario Carità, che nel Vicentino aveva vari distaccamenti, in città c’erano Villa Girardi (nota come “Villa Trieste”) e la casermetta in via Fratelli Albanese, nonché la caserma di S. Michele.
Quando i detenuti di San Biagio finivano nelle mani della Banda Carità, era segno che la loro posizione «era purtroppo gravemente peggiorata», come ricorda Ettore Gallo, giurista e presidente della Corte Costituzionale, imprigionato e torturato a sua volta. Il suo è uno dei nomi illustri in cui ci si imbatte nel libro di Covolo, come quelli citati all’inizio, o come quello di padre Giacinto Evarelli, priore di Monte Berico durante la seconda guerra mondiale, arrestato per l’appoggio dato alla Resistenza vicentina e portato a San Biagio il 26 ottobre 1944, insieme alla famiglia Fraccon. «Ma ogni nome è una storia», commenta Covolo, il quale auspica che l’elenco, ora pubblicato, possa ispirare ulteriori ricerche. Anche per questo intende fornire il libro alle biblioteche, alle scuole superiori, alle associazioni d’arma: «Probabilmente molte famiglie non sanno ancora che i loro parenti furono incarcerati».

 

Gianmaria Pitton

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