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La lotta al Covid

Cura dei monoclonali. Triplicate le infusioni per "salvare" l’ospedale

La terapia somministrata in ambulatorio punta a contenere il numero dei pazienti gravi
La terapia somministrata in ambulatorio punta a contenere il numero dei pazienti gravi
La terapia somministrata in ambulatorio punta a contenere il numero dei pazienti gravi
La terapia somministrata in ambulatorio punta a contenere il numero dei pazienti gravi

Contagi raddoppiati nelle ultime ore. La media, che a lungo si è attestata sui 100 nuovi casi al giorno, ora supera i 200. Il timore è che la prossima settimana l’onda dei contagi si allunghi ancora. I malati più gravi sono no-vax, o comunque persone non vaccinate. In questo momento in ospedale, nei posti-letto blindati ci sono interi nuclei familiari. Sono famiglie al completo. Marito e moglie. Genitori e figli. Tutti non vaccinati. Febbre alta, respiro affannoso, polmoniti virali molto serie, e subito un forte bisogno di massicce dosi di ossigeno ad alti flussi. 
Intanto, con la curva epidemiologica che sale, si intensifica al San Bortolo, negli ambulatori di malattie infettive, la terapia basata sugli anticorpi monoclonali. Si è ormai superata quota 400 infusioni passando da un massimo di 4-5 pazienti ogni 24 ore a 15-16. Il vantaggio, per paziente, ospedale e sistema, è enorme. Significa aver fatto guarire quasi tutti questi pazienti evitando altrettanti ricoveri, possibili intasamenti, oneri sanitari alle stelle. 

Il rovescio della medaglia, se si pensa che un singolo trattamento dura 2 ore, che per ciascun malato occorrono spazi separati e protetti, che ci vuole personale dedicato, è il super-lavoro per un reparto, quello guidato dal primario Vinicio Manfrin, in trincea fin dalla prima ora.  Arrivano senza soste le segnalazioni da parte dei medici di base, non ci sono più, come avveniva mesi fa nella fase iniziale sperimentale, rigorosi criteri di selezione, e in teoria qualsiasi paziente sintomatico può essere curato con questi anticorpi creati dall’industria che tagliano ricoveri e degenze prolungate in ospedale, abbassando il tasso di occupazione dei letti correlati al Covid e liberandoli ai pazienti che presentano forme di malattia ad alta complessità. «Noi - spiega il dottor Manfrin - chiamiamo tutti coloro che ci vengono indicati dai medici del territorio, verifichiamo che ci sia il consenso, controlliamo quali siano i sintomi, quanto tempo sia trascorso dall’insorgenza, se siano vaccinati o meno, valutiamo quali possano essere i benefici, e, poi, procediamo alle infusioni». 

Fra i pazienti sottoposti alla terapia anche alcuni vaccinati: «Si ammalano - dice il primario - perché sono in attesa della terza dose, oppure si tratta di anziani, di soggetti fragili, di malati oncologici o ematologici che rispondono meno al vaccino». 
Ieri i ricoverati al San Bortolo erano 44. L’ospedale di Vicenza, nel panorama veneto, è il più affollato di malati colpiti pesantemente dalla variante Delta, dopo l’azienda ospedaliera di Padova. In malattie infettive si trovano 14 pazienti. «Stiamo aprendo il primo piano – dice Manfrin - . Finora abbiamo ricoverato qui i malati non Covid, ma la sensazione è che dai prossimi giorni saremmo costretti a riservare anche questi posti ai positivi». Rimane, anzi si conferma, fra quanti vengono ricoverati al San Bortolo in questa quarta ondata quella che sembra ormai la regola. «I malati più severi sono tutti non vaccinati. Nessuno di loro si è immunizzato. E, sotto l’aspetto clinico, impegnano di più. I vaccinati sono per lo più anziani che entrano in ospedale per altre cause, uno scompenso, una frattura, e, al tampone, vengono trovati positivi».

La catena dei contagi mette sotto pressione anche il team-Covid del Sisp. Con l’aumento dei casi diventa più complesso il lavoro di tracciamento, anche se, con il rafforzamento della squadra diretta da Teresa Padovan, la percentuale è migliorata. Oggi la capacità di presa in carico dei positivi, cioè di identificarli in 2-3 giorni e metterli in isolamento, è dell’88,2%. Il problema, con i numeri che salgono, è che qualcuno possa sfuggire ai controlli invalidando l’obiettivo del contact-tracing di giungere in tempo utile all’individuazione di chi è stato preso nella morsa del Covid, e, quindi, di fronteggiare la pandemia. «È una difficoltà a carattere nazionale – spiega la direttrice del Sisp -. Ma ora con personale in più e ricominciando a lavorare sabato e domenica potenzieremo anche questo fronte».

 

 

Franco Pepe

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