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Il caso

Allarme long Covid, soffrono ancora più di trecento vicentini

Nebbia mentale, problemi di memoria e difficoltà a concentrarsi, perdita dell’olfatto e del gusto. Una dolorosa e improvvisa sensazione di mancanza di respiro, tosse fastidiosa, gabbia toracica che si espande a fatica. Disturbi cardiaci, ma pure affaticamento, dolori muscolari, un ampio spettro di turbe neurologiche, insonnia, ansia, stato depressivo, e tutta una serie di manifestazioni che non hanno ancora un confine definito. Prigionieri del Covid anche dopo. L’elenco dei vicentini che dopo essere guariti dal virus continuano ad avvertire sintomi, soprattutto di carattere neurocognitivo, si allunga. 
Già oltre 300 gli ex-malati che hanno chiesto aiuto ai medici dell’ambulatorio specialistico creato all’interno del reparto di malattie infettive del San Bortolo diretto da Vinicio Manfrin. Preoccupano i postumi a distanza della pandemia. Sotto accusa una sindrome post-virale che indica la sequela di disturbi che persistono anche una volta debellata l’infezione. Siamo di fronte a una seconda malattia che attacca nel momento in cui si pensa di essere usciti dalla morsa del Covid. Un’altra pandemia: è come trovarsi a vivere una vita rallentata. Non si è più gli stessi di prima. Non si sta più bene. Mancanza di lucidità, stanchezza che non passa, abulia, incapacità di reagire, ma pure, come detto, strascichi patologici a livello polmonare e cardiaco. Non si riesce a rendere come prima. 
La fascia più colpita va dai 25 ai 60 anni. Vittime più le donne che gli uomini. Più a rischio chi soffre di qualche malattia cronica o è in sovrappeso. Secondo uno studio cinese, il più accreditato per il follow-up più lungo, gli ex ricoverati accusano almeno un sintomo ancora due anni dopo essere usciti dall’ospedale. Per questo sale la richiesta di ambulatori multi-disciplinari in cui accogliere e trattare pazienti disorientati. In Italia questi centri long Covid sono tuttora pochi; l’ospedale di Vicenza è stato fra i primi a dotarsene. «C’è una lista di pazienti che accedono tramite il Cup. Sono i medici di base a sollecitare una valutazione clinica quando i loro assistiti denunciano un deficit funzionale – spiega il primario Manfrin -. Il quadro clinico è eterogeneo e l’impatto pesante. La maggior parte arriva perché si sente spossata, non riesce a fare ciò che in precedenza era la routine abituale». 
Il ventaglio dei disturbi è, appunto, ampio. Molto frequenti aritmie cardiache, palpitazioni, tachicardia al minimo sforzo. Frequente l’ipotensione posturale. 
«Ci siamo appoggiati – dice Manfrin – a una internista, Lia Timillero, specializzata in infettivologia che, durante la pandemia, è venuta a lavorare qui da noi. Visita, propone accertamenti, segue questi pazienti che, dopo 6 mesi, anche un anno, manifestano scompensi rilevanti, anche gravi. L’inquadramento non è semplice perché spesso non si trova una causa anatomica specifica. Il danno sembra diffuso. Bisogna capire come correggere i sintomi. L’ipotesi è che se ne esca nel giro di qualche mese. Ma c’è gente che sta male dopo un anno. Non è una cosa banale. Sono situazioni che non vanno mai sottovalutate. Si tratta di disfunzioni legate a un’alterazione del sistema nervoso autonomo e possono colpire qualsiasi apparato del corpo». 
Il long Covid rimane per molti aspetti un mistero. Non si conosce esattamente – osserva Manfrin - quale sia il meccanismo responsabile di questo corto circuito ad effetto ritardato che può essere a media e lunga scadenza. «Non dipende né dall’età e né dalla gravità dell’infezione. Nel nostro ambulatorio abbiamo visto pure pazienti che non sono stati mai ricoverati in ospedale, e che hanno avuto pochi sintomi». 

Franco Pepe

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