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L'anniversario

11 settembre, vent'anni dopo: l'attacco alla civiltà ha finito col cambiare i connotati a Vicenza

11 settembre 2001, 20 anni fa l'attentato che ha cambiato il mondo

Gli aerei dell’odio scagliati contro la civiltà hanno cambiato il mondo. Ma alcune zone del mondo sono cambiate più di altre. Il conto che ha pagato Vicenza si può sintetizzare con una base militare americana in più e un aeroporto in meno. E se fino a vent’anni fa la destinazione vicentina per un militare Usa era da considerarsi una sorta di vacanza premio, da quell’11 settembre in avanti le prospettive sono diventate decisamente meno allettanti e più rischiose. Sì, Vicenza è cambiata parecchio.

A dire la verità che qualcosa stesse cambiando dalle parti della caserma Ederle lo si doveva intuire già dal giugno del 2000, quando il Pentagono decise di riattivare la 173ª Brigata aviotrasportata e di stabilirne la sede proprio nella città del Palladio. Pochi all’epoca fecero caso a questo dettaglio, anche perché solo gli appassionati di cose militari avevano contezza che la 173ª era stata la brigata che aveva pagato il più alto tributo di sangue durante la guerra del Vietnam. Soldati specializzati, pronti a essere impiegati in territorio di guerra, qualsiasi guerra, nel giro di 24 ore. Quei pochi che si accorsero del dettaglio non avrebbero però mai pensato che nel giro di un anno o poco più la guerra ci sarebbe stata davvero.

 

11 settembre 2001, l'attentato che sconvolse il mondo

 

Quei tremila morti provocati dal delirio islamista di Osama bin Laden e di Al Qaeda furono la dichiarazione di guerra che George W. Bush dichiarò quel giorno stesso ai Paesi delle tenebre, a cominciare dall’Afghanistan nei cui anfratti si nascondevano i profeti del terrore. Alla prima missione griffata Nato, in seguito all’applicazione dell’articolo 5 del trattato, prima volte nella storia, i militari di stanza a Vicenza rimasero in stand by. La 173ª proseguì l’ambientamento e l’addestramento mentre Vicenza assisteva con preoccupazione all’innalzamento delle misure di sicurezza.

Fu quando Bush, contro ogni logica e sulla base di prove, come dire, molto discutibili fin da allora, decise di invadere l’Iraq di Saddam Hussein, appoggiato da Tony Blair ma non con l’egida della Nato, che da Vicenza partirono per la prima volta i parà americani. Nella primavera del 2003 vennero lanciati nel nord dell’Iraq, a Erbil, capitale di quel Kurdistan che tanto aveva patito sotto il giogo di Saddam. Fu il lancio più importante dai tempi della seconda guerra mondiale e non sembra così fantasioso supporre che in quel momento qualche stratega del Pentagono cominciò a progettare il raddoppiamento della base vicentina. Da quando si cominciò a parlare davvero di quell’eventualità, i parà della Ederle fecero in tempo a partecipare ad altre quattro missioni legate a Enduring Freedom in Afghanistan, in alcuni casi mentre a Vicenza migliaia di persone stavano marciando contro la guerra e contro la base che avrebbe dovuto sorgere nei pressi dell’aeroporto Dal Molin. L’unico effetto concreto di quelle manifestazioni fu la distruzione dell’aeroporto che i manifestanti pensavano, storditi anche da una fallace copertina dell’Espresso, facesse gola allo zio Sam. Niente di più falso: al Pentagono interessava sì una base, ma non certo per farci atterrare i bombardieri che avevano già un’adeguata sistemazione ad Aviano. Morale della favola, mentre la guerra infuriava e i manifestanti vicentini intonavano «Yankee go home», il governo Prodi, in virtù di un trattato internazionale che non poteva all’epoca essere sottoposto a un referendum su Rousseau, diede il via libera alla realizzazione della Del Din. 

Molti di quelli che allora volevano che gli yankee andassero a casa, adesso vorrebbero che ritornassero in Afghanistan dove sono rimasti 20 anni con l’unico effetto di celebrare l’anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle con i talebani di nuovo al potere a Kabul. E Vicenza? Vicenza si ritrova due basi americane, a quasi 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Forse i parà della 173ª sarebbero potuti rimanere qualche decennio in più in Afghanistan per accompagnare un popolo che aveva creduto nella fine delle tenebre e alla pace. Magari anche Vicenza avrebbe capito.

Marino Smiderle

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