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Valdagno

Sparò al capriolo: due anni. Patteggiano per il fucile anche i due fratelli

Si era affacciato alla finestra della casa dei parenti e aveva notato un capriolo, in una radura vicina. Era corso a prendere il fucile e aveva fatto fuoco. «L’istinto del cacciatore ha preso il sopravvento», aveva detto poi ai carabinieri. Per avere ammazzato con un fucile che non poteva usare un esemplare femmina, incinta, con il feto già formato, e per averla scuoiata, l’operaio valdagnese Gianni Guiotto, 48 anni, ha patteggiato 2 anni di reclusione e 1.800 euro di multa. L’imputato, assistito dall’avv. Maela Magliocco, per ottenere la sospensione condizionale della pena svolgerà attività di volontariato per conto di una onlus. Hanno patteggiato anche i suoi fratelli, per quel sovrapposto non denunciato e non detenuto in maniera sicura: per Luigi Guiotto, 62 anni, di Novale, 6 mesi di reclusione e 1.400 euro di multa; per Oliviero Guiotto, 61, di Valdagno, 5 mesi, 10 giorni e 1.350 euro. Difesi dall’avv. Nicola Mele, hanno goduto della sospensione della pena.
L’assurda uccisione risale a domenica 24 maggio di due anni fa. Gianni era andato a far visita ai parenti e, dopo essersi affacciato sulla radura di via Chiesa a Novale, aveva prelevato il fucile dalla camera da letto di Luigi, che lo teneva anche se era di proprietà di Oliviero, e aveva ammazzato la bestiola. Quindi era andato a prendere la carcassa, l’aveva portata in casa, scuoiata, l’aveva tagliata a pezzi con la motosega e infine le aveva tolto le interiora. Gianni non era un cacciatore, non aveva la licenza e comunque non era stagione. La procura con il pubblico ministero La Placa gli contestava il furto aggravato del fucile ai fratelli, il maltrattamento di animale pluriaggravato (anche dall’aver agito con crudeltà) e la violazione della legge sulla caccia.
Quel giorno, un testimone aveva udito lo sparo e aveva avvertito i carabinieri forestali, intervenuti con la polizia provinciale. Avevano trovato il sangue e avevano seguito le tracce fino a casa dei Guiotto.
Gianni aveva subito ammesso di essere stato il responsabile dell’uccisione, e aveva portato militare e agente in casa, dove c’era la carcassa del capriolo; aveva spiegato di avere usato munizioni spezzate, peraltro non consentite.
Dalla ricostruzione era poi emerso che il fucile era in un armadio aperto, in camera, in un luogo accessibile a tutti; e non era stato denunciato all’autorità il comodato per cui Luigi lo deteneva in luogo del proprietario Oliviero. Tutti e tre erano stati pertanto denunciati in procura, e alla conclusione delle indagini i fratelli hanno chiesto di poter patteggiare la pena, consapevoli dei loro errori. Per Gianni serviranno anche i lavori utili, vista la gravità del suo comportamento. 

 

Diego Neri

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