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Sarta in guerra a 12 anni Cucì migliaia di uniformi

La rammendatrice Bertilla Zattera, 93 anni, lavora ancora a maglia.  VE.MO.
La rammendatrice Bertilla Zattera, 93 anni, lavora ancora a maglia. VE.MO.
La rammendatrice Bertilla Zattera, 93 anni, lavora ancora a maglia.  VE.MO.
La rammendatrice Bertilla Zattera, 93 anni, lavora ancora a maglia. VE.MO.

Era poco più di una bambina quando ha varcato i cancelli della scuola industriale. Allora era dedicata al “Principe Umberto di Savoia” ed era un corso di avviamento professionale. Era il 1938 e Bertilla Zattera aveva appena compiuto 12 anni, abitava in contrada Lucchetta. Quest’anno ha spento 93 candeline e ha 6 figli; ora l’istituto è intitolato a “Vittorio Emanuele Marzotto” e si è fuso con il “Luzzatti”. Da quelle porte, a distanza di 80 anni, escono sì periti, ma sempre meno tessili. A poter ripercorrere quegli anni è rimasta una delle poche “ragazze” che durante la guerra hanno dovuto filare e rammendare migliaia di divise grigioverde. Ed è questa la parola ricorrente nel racconto di Zattera che oggi dalla finestra della Fondazione Marzotto dove è ospite guarda la scuola fondata nel 1936 da Gaetano Marzotto che, per oltre vent’anni, è stata il suo posto di lavoro. «Quei corsi di avviamento erano importanti per tutti - racconta -. Allora dopo gli anni delle elementari non c’erano tante alternative e quella scuola era organizzata bene, permetteva di trovare lavoro subito. Anche mio fratello maggiore Gino l’ha frequentata per poi essere chiamato al Lanificio. Io, invece, sono rimasta in quei corridoi per tanti anni. La mattina si faceva lezione in aula: geografia, italiano, matematica, scienze. Insomma come nelle altre scuole. Poi il pomeriggio si entrava nei laboratori». Finiti i 3 anni e superato l’esame, con la certificazione in mano, la giovanissima Bertilla ha avuto l’opportunità di rimanere a lavorare a scuola. Una sorta di “assistente” per insegnare alle ragazzine più piccole che iniziavano il corso l’arte del rammendo: «In “menda” (il laboratorio di rammendo, ndr) sono stati i miei anni più belli. Si lavorava volentieri in un clima famigliare aiutandosi. Quando ho finito il corso sono tornata per salutare la responsabile del corso che mi ha proposto, dopo aver sentito il direttore, di lavorare per la scuola. Ero felicissima e dopo aver fatto il periodo estivo senza essere pagata sono stata assunta. Non ricordo quanto prendevo a fine mese. Ma poco: c’era la guerra». I camion arrivavano nel cortile interno da dove si accedeva alle officine di tessitura, filatura e rammendo e scaricavano la lana. «Anche durante il corso io cercavo di evitare l’officina meccanica, ovvero la filatura. A me piaceva la “menda”: avevamo uno sgabello, l’ago e 30 banchi da lavoro. Metri e metri di tessuto che con la mia esile corporatura non riuscivo a spostare da sola. Nell’officina meccanica, invece c’erano quasi 70 telai: quelli in legno che usavano solo gli studenti e quelli in ferro. Erano i macchinari dismessi dalla Fabbrica e portati nella scuola. Vedere la velocità della spoletta mi faceva paura e ho cercato sempre di evitare quel laboratorio». Una vera e propria scuola-azienda dove lavoravano operai e si formano le nuove leve per il Lanificio. E dove trovavano posto anche pensionati della Fabbrica che arrivavano per insegnare ai giovani il mestiere. «Il rammendo era un lavoro delicato che richiedeva tanta luce e per questo il laboratorio era stato posizionato nella parte più esposta al sole in mezzo al cortile - ha aggiunto Zattera -. Ma quando arrivavano le divise grigioverde era un’altra storia. In quel caso bisognava essere veloci e il rammendo poteva essere grossolano». Ricordi che l’hanno accompagnata tutta la vita e che sono riemersi visitando la mostra allestita alla scuola Manzoni con i manifesti pubblicitari d’epoca dei tessuti Marzotto, dove nel libro delle presenze ha lasciato “Un grazie al Conte Marzotto per la scuola industriale dove ho imparato tante cose in classe e nei laboratori”. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Veronica Molinari

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