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«Renzi mi delude, su di lui confidavo Su Berlusconi no»

Pietro Marzotto ha festeggiato gli ottant’anni nella sua ValdagnoStella, Marzotto, Acerbi e Roverato a palazzo Festari. STUDIO STELLA
Pietro Marzotto ha festeggiato gli ottant’anni nella sua ValdagnoStella, Marzotto, Acerbi e Roverato a palazzo Festari. STUDIO STELLA
Pietro Marzotto ha festeggiato gli ottant’anni nella sua ValdagnoStella, Marzotto, Acerbi e Roverato a palazzo Festari. STUDIO STELLA
Pietro Marzotto ha festeggiato gli ottant’anni nella sua ValdagnoStella, Marzotto, Acerbi e Roverato a palazzo Festari. STUDIO STELLA

Gianmaria Pitton VALDAGNO «Conte Pietro, perché se n’è andato da Valdagno?». Giorgio Roverato dà voce alla curiosità di molti, forse tutti quelli che affollano la sala Soster di palazzo Festari per festeggiare gli ottant’anni di Pietro Marzotto. È sempre più raro ormai vederlo fuori dal suo “buen retiro”, gli 800 ettari di Valle Zignago, nella laguna di Caorle. Questa volta ha voluto esserci, sfidando una salute non proprio ottimale. Dopo il saluto del sindaco Giancarlo Acerbi, il docente universitario Roverato traccia un profilo storico che non può non partire dalla simbiosi tra Valdagno e Marzotto: «A Gaetano, negli anni Trenta, arrivavano tante lettere per chiedere lavoro. E molte erano indirizzate al “signor Valdagno”». Roverato definisce Pietro un imprenditore calvinista, non in senso religioso, quanto per l’impegno nel lavoro e la sfida con se stesso. Come quando ha proiettato il gruppo Marzotto in una dimensione internazionale: «Ora gli stranieri fanno shopping tra le aziende italiane - commenta Roverato - Pietro Marzotto è stato il primo a fare shopping all’estero, con la Hugo Boss». Ma quand’era vicepresidente di Confindustria, cita ancora Roverato, alla domanda di un giornalista rispose: «Cosa vuole che pensi del Nordest, non sono neanche di Vicenza. Sono di Valdagno». E allora, perché s’è andato? Il giornalista Gian Antonio Stella ripete la domanda, mentre rievoca il celebre episodio dell’abbattimento della statua in bronzo di Gaetano Marzotto. «Il 1° gennaio 1968 sono diventato direttore a pieni poteri - ricorda Pietro - Il 19 aprile la statua viene buttata giù». E nonostante questo Pietro, nota Stella, ha sempre guardato più a sinistra che a destra, politicamente parlando. «Era appassionato di sport, Pietro, e non aveva voglia di studiare. Ma non aveva fatto i conti con la famiglia». Fu messo a lavorare in azienda: «Dal 1955 al 1958 - precisa l’imprenditore - Ho fatto tutti i reparti, ho lavorato bene. Ma in nero, perché mio padre non mi ha versato i contributi». Il lavoro non evitò gli studi universitari, prima alla Bocconi, poi alla Statale. Laurea in scienza delle finanze, su un argomento ostico come l’“imposta fabbricazione filati”, «che venne abolita - precisa Marzotto - grazie alla mia tesi». INCARICHI. Marzotto avrebbe potuto sfatare la “maledizione” che non vuole veneti a capo di Confindustria: «Mi hanno offerto la presidenza più volte, ma non ero disponibile. Pensavamo di essere industriali, non confindustriali. Noi industriali passavamo sei giorni in azienda e uno in Confindustria. I confindustriali, il contrario». Stella lo provoca sul nome, Pietro, che sarebbe dovuto a Badoglio: «È stato mio padrino virtuale. Disse a mio padre: sarà un maschio, si chiamerà Pietro. A quel punto, era obbligatorio. Disse anche: sarà maresciallo d’Italia. Ma lì si era sbagliato», ride. La conversazione arriva al 2004, l’anno dell’addio. Amaro. «Avevo una visione diversa dalla maggior parte degli azionisti. Pensavo a molti soci con dividendi ordinari, loro invece a un’azienda più magra con dividendi più alti. E hanno venduto Hugo Boss. Io non ero d’accordo». E pensare che l’acquisizione era stata una sfida importante: «Avevo un know how di risanamento di aziende che non andavano bene, ma lì non si poteva risanare niente perché era tutto bello. Tranne il ramo negli Stati Uniti». Risanato. POLITICA. Pietro Marzotto è sconsolato quando si affronta il tema della politica: «Non c’è una visione a medio e lungo termine di dove andare. La politica è questo. Ci sono uomini illuminati, ma nel collettivo non funzionano. Mio padre lo scrisse nel 1951, gli uomini contano, i partiti sono disastrosi». Guardando al presente, però, i giudizi sui singoli non sono teneri: «Il Pd è l’unico partito serio, ma come si fa? Mi hanno deluso». «Più Renzi o Berlusconi?», gli chiede Stella. «Di più Renzi, da lui mi aspettavo molto. Da Berlusconi non mi aspettavo nulla. Nel 1994, dopo le elezioni, gli scrissi una lettera aperta per dirgli di non andare al governo, ma non ci credevo. E infatti». «Berlusconi - continua - ha fatto i disastri che poteva fare, nella moralità, nell’amministrazione. Renzi non è riuscito a fare le riforme, per arroganza». La disistima per i partiti si accompagna al rispetto per le istituzioni: «Ce l’ho per il Parlamento, anche se non lo merita. E per il governo, anche se fa delle sciocchezze. Bisogna avere rispetto». Ringrazia tutti, gli amministratori, i familiari, i collaboratori, gli amici. «Speriamo di andare avanti, ce la mettiamo tutta». Tornerà nella sua Valle Zignago: «Me ne sono andato perché la Valdagno, senza Marzotto, non è la Valdagno». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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