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Trissino

Pfas: la procura chiede otto rinvii a giudizio

Mamme No Pfas davanti al tribunale
Mamme No Pfas davanti al tribunale
Mamme No Pfas davanti al tribunale
Mamme No Pfas davanti al tribunale

La procura di Vicenza ha chiesto il rinvio a giudizio nell’udienza preliminare del processo per l’inquinamento da Pfas per otto imputati accusati a vario titolo dei reati ambientali che sarebbero avvenuti tra il 2013 e il 2017. Si tratta del cosiddetto «filone Pfas-bis».
Gli otto, tutti ex dirigenti Miteni, sono accusati di aver immesso nelle acque sotterranee il rifiuto pericoloso contenente GenX e C6o4. Con le loro condotte, secondo la procura, avrebbero provocato un deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee al sito dell’azienda. Per quanto riguarda il reato di bancarotta, di cui sarebbero tenuti a rispondere in sette, l’accusa è di aver aggravato il dissesto della società di Trissino, con perdite per quasi 15 milioni di euro tra 2010 e 2017. Alla società Miteni viene invece contestato l’illecito amministrativo di non essersi dotata di un modello organizzativo «idoneo a prevenire» questi reati.
Nella prossima udienza che si terrà il 25 gennaio il giudice Roberto Venditti si pronuncerà in merito all’eventuale riunione dei due procedimenti, Pfas-1 (che è già nella fase di udienza
preliminare), e Pfas-bis. Erano resenti all’udienza le difese delle società idriche Acquevenete, Viacqua, Acque Veronesi, Acque del Chiampo, che da tempo si sono affidate agli avvocati Angelo Merlin, Vittore d’Acquarone e Marco Tonellotto, con l’obiettivo di ottenere il risarcimento del danno provocato dall’inquinamento da Pfas e altre sostanze, presentando ai responsabili il conto dei lavori di ripristino e bonifica che le società si sono accollate in questi anni.
Ad oggi, sottolineano, sono stati investiti diversi milioni di euro nelle opere di ripristino della salubrità dell’acqua nelle province di Padova, Vicenza e Verona.

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