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In sella al mondo con il made in Italy

Edda Rigon, a sinistra, con la delegazione dell’Università di RichmondLa sede della Selleria Equipe in via Gasdotto a ValdagnoAlcune selle prodotte da Selleria Equipe.  FOTOSERVIZIO DONOVAN CISCATOIl tour nei reparti di produzione: l’azienda conta 85 dipendenti
Edda Rigon, a sinistra, con la delegazione dell’Università di RichmondLa sede della Selleria Equipe in via Gasdotto a ValdagnoAlcune selle prodotte da Selleria Equipe. FOTOSERVIZIO DONOVAN CISCATOIl tour nei reparti di produzione: l’azienda conta 85 dipendenti
Edda Rigon, a sinistra, con la delegazione dell’Università di RichmondLa sede della Selleria Equipe in via Gasdotto a ValdagnoAlcune selle prodotte da Selleria Equipe.  FOTOSERVIZIO DONOVAN CISCATOIl tour nei reparti di produzione: l’azienda conta 85 dipendenti
Edda Rigon, a sinistra, con la delegazione dell’Università di RichmondLa sede della Selleria Equipe in via Gasdotto a ValdagnoAlcune selle prodotte da Selleria Equipe. FOTOSERVIZIO DONOVAN CISCATOIl tour nei reparti di produzione: l’azienda conta 85 dipendenti

Le storie di successo nascono spesso da una caduta. Come quella di un cavaliere disarcionato che si allena per vincere la gara successiva. La storia della Selleria Equipe è una di queste. E ora fa scuola nel mondo, tanto che l’Università di Richmond, Virginia, ci ha messo gli occhi sopra per studiare come si fa. Dai finestroni dell’azienda nella zona industriale di Valdagno la delegazione di studenti statunitensi dell’Mba, accompagnati dall’Università di Verona, guardano le Piccole Dolomiti. Un confine naturale, fisico ma non economico, superato ogni giorno dal fiuto imprenditoriale, dal coraggio e dalla perseveranza dei quattro soci, le sorelle Edda e Tania Rigon e i fratelli Ivano e Doriano Dalle Mese, che oltre quelle montagne, nell’Europa centrale e del nord, vendono gran parte delle selle per cavalli da loro prodotte. Erano partiti dal nulla, 22 anni fa. Tre di loro lavoravano come dipendenti in una selleria, la quarta in un’azienda metalmeccanica. Oggi sono in sella al mondo grazie al loro made in Italy. Ottantacinque dipendenti, altrettanti agenti o consulenti all’estero, quindici milioni di fatturato e il 95 per cento della produzione venduto fuori dall’Italia. Qualcosa come 12 mila selle all’anno. «Siamo una tra le cinque realtà più grosse al mondo nella produzione di selle di qualità», spiega Edda Rigon. Le braccia nel mondo, «Germania e Svezia i primi mercati, laddove il cavallo è una cultura diffusa e popolare, non sport d’élite», ma i piedi ben piantati nella valle dell’Agno. Da sempre. Agli albori, nella micro sede della frazione Piana, poi a Spagnago di Cornedo, e ora in via Gasdotto, nella zona industriale laniera. Un radicamento territoriale che è nel Dna: «Io dico sempre che le nostre selle sono al 187% made in Italy». Centottantasette? «Tutta la produzione è realizzata qui a Valdagno, e la materia prima, pelle e cuoio, arriva per l’87% dall’Italia, dal distretto di Arzignano e da quello di Santa Croce sull’Arno». E di quell’87%, metà viene dal Veneto. Le selle prodotte a Valdagno spopolano in tutto il mondo. Vanno dai 1.500 ai 5 mila euro, e hanno tre tipi di arcione: in materiale sintetico, il più diffuso, ma anche in legno, come nella tradizione equestre degli eserciti, e in fibra di carbonio, il fiore all’occhiello della Selleria Equipe. Sono prodotti per tutti i tipi di cavalli e cavalieri, anche per i campioni degli sport equestri. Basti pensare che «alle Olimpiadi di Londra 2012 otto medaglie d’oro su otto» sedevano sulle selle valdagnesi. Oggi l’azienda sta ancora crescendo. Sull’altro lato della strada sta prendendo forma un capannone-bis, con collegamento sotterraneo, in cambio di un parcheggio pubblico. «L’amministrazione comunale ha capito le esigenze e c’è stata un’intesa urbanistica soddisfacente». Lo sguardo è proiettato al futuro. «Ormai il mercato è saturo, perciò stiamo pensando a uno sviluppo nel design». Per crescere servono idee, e non mancano, ma per farlo in loco serve manodopera preparata. «Nonostante la tradizione tessile, oggi è più difficile trovare personale qualificato». L’idea di delocalizzare, in ogni caso, non abita qui. «In India la manodopera ha costi infinitesimali, ma non abbiamo mai pensato di spostarci da qui». Vogliono lasciare un’impronta. Anzi lo hanno già fatto. E forse quel logo, l’impronta di una mano «per cui molti all’inizio ci scambiavano per un’azienda di guanti ma che poi è stato parte della nostra fortuna», è stato davvero profetico. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Marco Scorzato

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