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Ambiente

«Il sito Miteni inquina ancora. Barriera anti-Pfas inefficace»

Uno scorcio dell’azienda Miteni di Trissino in una foto scattata nel 2018, poco prima del fallimento (Archivio)
Uno scorcio dell’azienda Miteni di Trissino in una foto scattata nel 2018, poco prima del fallimento (Archivio)
Uno scorcio dell’azienda Miteni di Trissino in una foto scattata nel 2018, poco prima del fallimento (Archivio)
Uno scorcio dell’azienda Miteni di Trissino in una foto scattata nel 2018, poco prima del fallimento (Archivio)

La barriera idraulica c’è, ma «non tiene in modo efficace». Risultato: il sito Miteni, a tre anni dal fallimento dell’azienda, risulta ancora «notevolmente inquinato da tutti i Pfas, con una tendenza all’aumento», almeno per quanto riguarda il piezometro Mw18, quello di controllo a sud dello stabilimento aziendale. La fotografia è scattata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli ecoreati, cosiddetta “ecomafie”, con una relazione sulla diffusione delle sostanze perfluoroalchiliche. Il caso vicentino, che secondo le indagini ruota attorno alla ex Miteni di Trissino, è il più noto, ma la relazione analizza anche il caso della Solvay di Alessandria, in Piemonte. Il documento è il frutto di un lungo lavoro, con l’audizione di molti soggetti, sia pubblici che privati, e si conclude con la spinta alla definizione di «limiti di legge da parte dello Stato», sia per poter agire sul fronte della prevenzione sia per dare strumenti ai magistrati sul fronte giudiziario.

Pfas e barriere Sui tempi e sulla consapevolezza dell’inquinamento è in corso un processo. Dal canto suo, la Commissione ha rimesso in fila una serie di elementi per inquadrare la vicenda. Ricorda, tra le altre cose, che un principio di barriera idraulica era stato realizzato «da Miteni nel 2005, con tre pozzi nel lato sud dello stabilimento, per emungere l’acqua di falda per il successivo trattamento». I vertici dell’azienda sarebbero dunque stati «consapevoli della situazione di inquinamento» della falda. L’esistenza di una barriera nel 2005 era stata constatata anche dall’Arpav, come riferito in audizione dal dirigente Alessandro Bizzotto. La commissione sottolinea che «l’implementazione dei pozzi nel periodo 2013-2019 si è resa necessaria» alla luce del monitoraggio della falda eseguito dall’Arpav stessa. Sono state realizzate «più linee di barriera», ora costituita da 41 pozzi di emungimento. Tuttavia, di questi, nell’ultima verifica effettuata a settembre 2021 ne sono risultati non funzionanti 27, per vari motivi.

Le sostanze La commissione scrive che, secondo il rapporto di Icig, ultimo proprietario di Miteni, «dal 2013 al giugno 2020 sono stati estratti circa 5,8 milioni di metri cubi di acqua per un totale di 17,7 chili di solventi clorurati, 1.244 chili dei benzotrifuoruri e 183 chili di composti perfluoroalchilici». Come detto, nonostante il sito non sia più produttivo e l’azienda sia stata dichiarata fallita nel 2018, concentrazioni di sostanze inquinanti sono ancora presenti. «La complessità idrogeologica della falda spiega la ragione delle oscillazioni osservate nel tempo» nella presenza delle sostanze, precisa la relazione. Così, nel periodo ottobre 2020-marzo 2021, «si riscontrano in elevatissime concentrazioni fino a 11 mila nanogrammi per litro per il Pfoa, 3 mila per il Pfos, 19 mila per la somma dei Pfas» oltre ai «5 mila per il GenX e 5 mila per il C604», le sostanze più recenti. Questa, per la commissione, «è la prova evidente che la barriera non tiene ancora in modo efficace».

Le palancole Diventa perciò importante realizzare il «progetto di palancolatura fisica che Icig si è obbligata a effettuare», progetto «già approvato dal Comune di Trissino a marzo 2020». Si tratta di posizionare «lastre d’acciaio fino a 20 metri di profondità per impedire all’acqua del Poscola di entrare al di sotto del sito». Ma al momento c’è un problema: le palancole possono essere sistemate solo dopo che sarà completata la liberazione dei terreni, ma la società indiana Viva Life Sciences Private Limited che ha acquisito gli impianti per trasferirli in India è in ritardo di un anno sul cronoprogramma, in quanto «non ha potuto far arrivare in Italia» i propri dipendenti per le restrizioni legate al Covid. I lavori dovrebbero concludersi solo alla fine di quest’anno.

Altre fonti inquinanti La relazione, citando l’audizione del funzionario Arpav Paolo Zilli, ricorda che «ad aggravare la situazione già complessa sono state rilevate anche differenti fonti di pressione a nord del sito, prima degli impianti Miteni: una sorta di inquinamento di fondo che Arpav sta cercando di approfondire». A tal proposito Icig sostiene che le concentrazioni di Pfas al piezometro Mw18 sono dovute a più fattori e «alla immissione storica» risalente agli anni Settanta e Ottanta «nelle matrici ambientali», ma su questo la commissione non concorda. La relazione spiega invece che nel maggio 2020, nel corso dell’audizione dell’Arpav «è emerso per la prima volta che risulta inquinata anche l’area ex Rimar», la prima sede, in collina, di quella che poi diventò Miteni. «Rispetto a Miteni si tratta di presenze di ordine inferiore, sia di solventi clorurati che di Pfoa e Pfos». 

Marco Scorzato

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