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Marano Vicentino

Rabbia e dolore per Alioune, ucciso a 19 anni da un coetaneo ubriaco. Colletta per il rimpatrio

Alioune Ndiaye aveva 19 anni, lavorava da poche settimane
Alioune Ndiaye aveva 19 anni, lavorava da poche settimane
Alioune Ndiaye aveva 19 anni, lavorava da poche settimane
Alioune Ndiaye aveva 19 anni, lavorava da poche settimane

Il dolore. L’incredulità. E la rabbia. Per una morte assurda. Alioune Ndiaye aveva 19 anni e la gioia di vivere. Era originario del Senegal ma Marano era il suo paese. Era un «ragazzo d’oro», dicono tutti quelli che lo hanno conosciuto, e da poche settimane era anche un lavoratore impegnato, alla Polidoro di Schio. Andava al lavoro in bicicletta, alle 5.30 di sabato mattina sulla Maranese, quando è stato investito e ucciso da un’Alfa Romeo guidata da un 23enne scledense risultato positivo all’esame ematologico per riscontrare l’assunzione di alcol. Sarà l'avvocato di Schio Deborah Squarzon a gestire la questione del rimpatrio in Senegal della salma di Alioune Ndiaye e quella legale dell’incidente mortale.

 

Il padre Markhete Ndiaye, pure per conto della madre Khadi Diop che è già tornata a Marano Vicentino avendo preso il primo aereo disponibile sabato stesso dalla Puglia, ha chiesto a Squarzon, che è anche il legale di fiducia di tutta la comunità senegalese scledense, di aiutarlo a riportare il figlio in Africa. «Ho già parlato con Markhete che conosco molto bene - racconta l'avvocato Squarzon -. La notizia della morte di Alioune è tragica e in questi giorni così tristi la devo assorbire anch’io sotto l’aspetto umano perché ne sono stata completamente travolta. Il padre è distrutto tanto che sabato non ha assolutamente voluto parlare né vedere il ragazzo 23enne di Schio che guidava l’auto». E troppo doloroso era anche il riconoscimento della salma, tanto che è stato fatto direttamente dal fratello di Makhete, Mbaye Sylla, che in questi terribili momenti è molto vicino a tutta la famiglia. Così come lo è l’intera comunità senegalese di Schio che ha avviato una colletta per aiutare economicamente la famiglia Ndiaye a predisporre il ritorno in patria del figlio. «A tal proposito - continua il legale Deborah Squarzon - ci siamo già accordati per pensare a tutta la parte burocratica che è necessaria per il rimpatrio. Dovrò muovermi con l'Ambasciata senegalese perché c'è tutta una procedura da seguire molto macchinosa, resa ancora più difficile dalla pandemia. Una volta in Senegal, la famiglia farà celebrare il rito funebre musulmano».

 

Poi l’avvocato Squarzon metterà in piedi tutta la questione legale. «E qui - prosegue - l’indagato (per omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza, ndr) parte male, in quanto la notte dell’incidente, sottoposto alla prova del palloncino, ha cercato di fare il furbetto. Alla prima prova, il test è risultato positivo. Poi doveva essere fatta la controprova e il 23enne per molte volte ha fatto solo finta di soffiare nel palloncino costringendo i carabinieri, intervenuti sul luogo dell’incidente, a portarlo all’ospedale perché venisse sottoposto agli esami del sangue, che hanno dimostrato lo stato di alterazione da alcol in cui si trovava».

Silvia Dal Maso

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