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La storia

Bardin e Fontana, un'amicizia biancorossa da Pallone d'oro

In questa storia non sentirete parlare di imprese calcistiche epiche, di goleador o triplete, scudetti e coppe alzate al cielo sotto migliaia di stelline colorate. E non si dica che alla fine il calcio è comunque sempre quello: undici uomini che rincorrono una palla cercando di metterla dentro una rete. Il calcio di Nico Fontana e Adriano Bardin, classe 1943 il primo e 1944 il secondo, è prima di tutto una lunga storia di amicizia. Un legame di 60 anni, che ancora oggi si alimenta quotidianamente, con la stessa forza di un amore. Certo il pallone c'entra. Perché è grazie ad una sfera di cuoio, allora brutta e monocolore e giocata in campi polverosi, che Nico e Adriano si sono conosciuti. Ed è grazie a quella sfera che recentemente hanno potuto suggellare la loro amicizia davanti ad una torta "marchiata" con la R del Lanerossi Vicenza.

Il loro destino è racchiuso in una foto simbolo scattata a Maglio di Sopra, durante un match fra Valdagno e Schio nel campionato '59/60. Sono solo loro due, non ci sono tifosi, né i compagni di squadra. Quella foto la volle un dirigente che fece anche una scommessa: questi due li vedremo in serie A. Scommessa vinta. Nico arrivò gratis al Lanerossi, per via di un diritto di prelazione che la società aveva sui giocatori dello Schio. Adriano indossò la maglia del Vicenza l'anno dopo e l'affare valse 5 milioni di lire perché il diritto di prelazione era scaduto. «Ma dallo Schio non vidi una lira e nonostante questo fui felice», racconta Bardin. «Il presidente Roberto Plebani mi disse che con i miei soldi avevano acquistato tre giocatori dall'Azzurra Sandrigo. Certo li avevano comprati grazie anche a quello che sarebbe spettato a me, ma compresi che per lo Schio era un investimento importante». Agli allenamenti Nico e Adriano ci andavano in treno ma al ritorno non era prevista la fermata a Marano, dove Fontana abitava. «Allora veniva fino a Schio e io gli prestavo la bicicletta per tornare a casa», ricorda Bardin. «Qualche volta eravamo più fortunati perché il capotreno, se il Vicenza aveva vinto la domenica precedente, si fermava lo stesso alla stazione di Marano, come premio».

Fotogrammi da film in bianco e nero che riemergono in tutta la loro poesia e che ci raccontano un calcio che non c'è più, affossato da ingaggi astronomici, strapotere dei procuratori, affari per le tv e i nuovi media, soldi e lusso. E allora restano per fortuna i ricordi, gli occhi lucidi di chi li tesse, a rappresentare quel mondo perduto fatto di cose semplici. Come le "scappatelle" del lunedì, unico giorno in cui ai giocatori era concessa un po' di libertà. E come se la godevano Nico e Adriano? «Facevamo festa in Val D'Astico, a Posina, a Laghi, avevamo gli amici e si andava su. Prendevamo il "pescetto popolo" da Pasquale, del vino bianco e poi via ad aspettare la sera per mangiare gnocchi a volontà, qualche volta fino al mattino. E tornavamo anche con i doni dei nostri amici: "radicetto" e "marsoni". Eravamo felici così». E intanto c'era il calcio giocato. Adriano dopo una parentesi all'Ascoli torna al Vicenza, mentre Nico si fa un anno al Milan e uno al Napoli. «L'ho saputo da un amico che finivo alla corte di Ferlaino», ricorda Fontana. Mi disse: «Allora, sito contento?» E io che pensavo che si riferisse al mio recente matrimonio gli risposi che era un po' presto per tirar le somme. Ma lui replicò: "Ma lexi el giornale, i te manda a Napoli". C'era un trafiletto dove si scriveva che ero stato ceduto e io non lo sapevo (e sorride)". E sorride anche quando ricorda di essersi fatto prestare la macchina da Adriano per stare con una ragazza. Il problema è che Nico non aveva ancora la patente. Anche quando le strade si sono divise Adriano e Nico hanno continuato a mantenere viva l'amicizia. Fontana, che l'indimenticato leone biancorosso Vinicio definì "un vero fuoriclasse che sforna palloni perfetti e dosati al millimetro" smette di giocare negli anni '70. Bardin invece gli scarpini se li tiene per tanti altri anni perché diventa allenatore dei portieri per Cagliari, Fiorentina, Benfica, Stoccarda e per la Nazionale. Ma i due continuano a frequentarsi, a mantenere viva quell'amicizia. «Ci vediamo quasi ogni giorno», dice Bardin. «Vado a casa di Nico a scroccare un caffè». «Qualche volta non siamo d'accordo su qualcosa, è normale, ma finisce tutto lì», aggiunge Fontana. E il calcio di oggi? «Lo seguo, tifo Vicenza, ma a casa mia niente Sky, internet e altre diavolerie», sentenzia. «È Adriano che ha tutto». E l'amico annuisce, confermandosi ancora appassionato di calcio giocato.Proprio a Sky, la sera prima, il mondo aveva potuto vedere un luccicante Messi, vestito da Giorgio Armani, mentre alzava il settimo Pallone d'oro, applaudito dai tre figli vestiti con lo stesso smoking. Il calcio del nuovo millennio è anche questo, piaccia o non piaccia: un immenso show fatto di riflettori, flash, tappeti rossi, paillette e diritti tv. Non è possibile il confronto con il football romantico di Nico e Adriano. Ma c'è un valore che non ha età e non soffre la concorrenza dello streaming o del 4 kappa: i 60 anni di amicizia ancora luccicante, come lo smoking di Armani, dei due ex calciatori. Amici per sempre, nel segno di un pallone di cuoio che vale quanto l'oro

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