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Thiene

«Esclusi dal locale perché neri». Ma la titolare nega il razzismo

Un gruppo di giovani, di cui 4 di colore, è rimasto escluso dal Clubbino e si è aperto un caso
Un gruppo di giovani, di cui 4 di colore, è rimasto escluso dal Clubbino e si è aperto un caso
Un gruppo di giovani, di cui 4 di colore, è rimasto escluso dal Clubbino e si è aperto un caso
Un gruppo di giovani, di cui 4 di colore, è rimasto escluso dal Clubbino e si è aperto un caso

Il bianco e il nero. L’ipotesi di razzismo da un lato, la misura preventiva che punta a garantire la sicurezza dall’altro. Sono queste le versioni, del tutto contrastanti, di un fatto accaduto l’altra notte al “Clubbino” di Thiene, nota birreria al civico 136 di via San Giovanni Bosco, con un’area dedicata anche alla musica dal vivo e al dj set. Quattro ragazzi di colore sarebbero stati lasciati fuori dal servizio di sicurezza, «su disposizione della direzione» a detta dei ragazzi stessi, proprio per il colore della loro pelle, e perché «nei mesi scorsi, connazionali si sarebbero resi protagonisti di danneggiamenti e risse». Il racconto-denuncia dei ragazzi, nella giornata di ieri, ha fatto il giro dei social network e acceso un vivace dibattito, rendendo pubblica una vicenda che al momento resta controversa. Controversa perché, innanzitutto, le versioni della titolare del locale, così come quella del responsabile della sicurezza, affidata alla società “Pantere Servizi”, sono opposte a quella dei ragazzi. «Ma quale razzismo? Qui entrano tutti, purché non abbiano precedenti, o presentino stati di alterazione che potrebbero pregiudicare la tranquillità e il sano divertimento di tutti». Un caso a due facce, quindi, ma talmente diverse che non sembrano appartenere nemmeno alla stessa moneta.

La denuncia social. «È possibile nel 2022 non fare entrare un gruppo di ragazzi e ragazze di colore di sabato sera in un bar, perché alcuni altri ragazzi che noi non conosciamo, che nulla c’entrano con noi, hanno fatto casino mesi prima nello stesso locale? Ma veramente? Siamo arrivati a questo punto: deve rimetterci la brava gente, che non ha mai creato alcun disagio». Questo il post pubblicato sui social da Federico Dalle Molle, studente italiano di 21 anni, iscritto all’Università di Bologna, e residente a Malo, tra i protagonisti del presunto episodio di razzismo. «Siamo arrivati al “Clubbino” verso mezzanotte - racconta il giovane raggiunto al telefono dal Giornale di Vicenza dopo che la sua denuncia aveva fatto il giro della rete - Eravamo in cinque: quattro ragazzi di colore e una ragazza caucasica. Entravano tutti, ma noi siamo stati bloccati dalla sicurezza che ci ha spiegato le direttive del gestore, ovvero che i ragazzi di colore non possono entrare, perché alcuni ragazzi neri mesi fa hanno combinato casini all’interno del bar. È pura follia. Noi non c’entriamo nulla con quegli episodi, siamo brave persone, studenti e lavoratori. Tra l’altro in questo locale ci eravamo stati altre volte, e nessuno ci aveva detto nulla. Sabato siamo stati trattati come delinquenti “neri”. Non ci sono parole - conclude il giovane studente universitario maldense - per commentare quanto accaduto l’altra sera».

La titolare. La titolare del locale thienese rimanda decisamente al mittente ogni accusa di razzismo, spiega le sue ragioni e lo fa partendo da una premessa. «Noi affidiamo la sicurezza a “Pantere Servizi”, ditta che lavora con successo in tutto il Vicentino - spiega Elsa Panozzo - Non so cosa sia accaduto l’altra sera all’ingresso, ma se i ragazzi della security hanno deciso di lasciare fuori quei giovani avranno avuto i loro buoni motivi. Negli ultimi due mesi abbiamo avuto alcuni episodi di danneggiamenti e risse: sono cose che non possiamo accettare, vogliamo un locale tranquillo, dove la gente possa venire a divertirsi senza avere altre preoccupazioni. Qui non accettiamo persone con precedenti penali o ubriache o drogate o che abbiano già combinato casini anche in altri locali». Pur non avendo contezza diretta di quanto accaduto l’altra sera, aggiunge: «Le “Pantere” conoscono le persone, se qualcuno non entra è perché non ci sono i presupposti per garantire la tranquillità altrui. E a me sta bene. Razzista? Ma quando mai, ho anche dipendenti di colore».

La sicurezza. Il concetto è ribadito da Stanislao Somma, responsabile e formatore della ditta di sicurezza: «Ho capito di che caso si tratta - spiega - e non c’erano i presupposti per fare entrare quei giovani», senza scendere nei dettagli. «In generale siamo abituati a lavorare con persone di qualsiasi etnia, conosciamo tutti i soggetti potenzialmente pericolosi, con precedenti, e sappiamo riconoscere al volo gli stati di alterazione. Sono il primo a condannare qualsiasi discriminazione, a partire da quelle razziali: è una cosa che non appartiene a nessuno dei nostri agenti».

 

Francesca Cavedagna

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