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Una fossa comune scoperta nel lager degli scledensi

Il piccolo memoriale del lager di Gusen circondato dalle villette costruite in seguito
Il piccolo memoriale del lager di Gusen circondato dalle villette costruite in seguito
Il piccolo memoriale del lager di Gusen circondato dalle villette costruite in seguito
Il piccolo memoriale del lager di Gusen circondato dalle villette costruite in seguito

Ora c’è la certezza: i 6.500 frammenti di ossa, denti, teschi ritrovati in un seminterrato dimenticato sotto la stazione ferroviaria di Lungitz, a 5 chilometri da Sankt Georgen an der Gusen, Alta Austria, sono resti umani dei deportati del lager di Gusen, uno dei più tremendi fra quelli voluti dal Terzo Reich. Laddove trovarono una fine orrenda gli scledensi Andrea Zanon, (53 anni) Andrea Bozzo (48 anni), Anselmo Thiella (38 anni), Italo Galvan (40 anni), smistati da Mauthausen dove rimasero Giovanni Bortoloso (32 anni), Livio Cracco (33 anni), Pierfranco Pozzer (20 anni), Vittorio Tradigo (27 anni), Giuseppe Vidale (43 anni) e Bruno Zordan (24 anni). E tra Gusen e Mauthausen prima morirono anche Giovanni Santacaterina (23 anni), Andrea Azzolini (20 anni) e Gino Zanella (18 anni). A Gusen c’è un piccolo memoriale che raccoglie qualche testimonianza dei forni crematori e del lager, abbattuto per realizzare un’area residenziale di pregio. Tutte villette sorte attorno ad un luogo dove trovarono la morte decine di migliaia di deportati, soprattutto politici, molti dei quali italiani. Da Gusen tornò William Pierdicchi, unico superstite scledense e il primo a raccontare cosa succedeva nei campi di sterminio. Ora si apre uno spiraglio per dare una degna sepoltura agli scledensi periti nei lager. Gusen, principale sottocampo di Mauthausen, a sua volta suddiviso in tre sottocampi - Gusen I, II e III - fu costruito nei primi mesi del 1940 per lo sfruttamento delle cave di sabbia e di pietra situate nei dintorni e per il funzionamento della fornace di Lungitz, tutte di proprietà delle SS. Dopo il 1942, all’interno di gallerie scavate dagli stessi deportati, furono installate grandi officine per il montaggio di armi prodotte dalla ditta Steyr e di aerei della Messerschmitt, tra i quali il caccia a reazione “Me 262”. Secondo alcune fonti, i nazisti effettuavano esperimenti nucleari in queste gallerie. Non è un caso che i resti siano saltati fuori durante i lavori per una lottizzazione edilizia, l’ennesima avviata suoi luoghi dove avennero atrocità immani che, più che alla memoria, qualcuno vorrebbe indirizzare al dimenticatoio. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Mauro Sartori

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