<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
La scoperta

Tre corpi di soldati trovati sul Pasubio. Altri tasselli di storia

L'indagine dell'ufficio Beni Archeologici della Provincia autonoma di Trento. Con tutta probabilità i militari vennero uccisi da una granata durante i combattimenti con le truppe austroungariche sul monte Corno Battisti.
L'archeologia militare si avvale di una metodologia rigorosa per recuperare più informazioni possibili
L'archeologia militare si avvale di una metodologia rigorosa per recuperare più informazioni possibili
L'archeologia militare si avvale di una metodologia rigorosa per recuperare più informazioni possibili
L'archeologia militare si avvale di una metodologia rigorosa per recuperare più informazioni possibili

Tre corpi di soldati italiani, rimasti probabilmente uccisi dall'esplosione di una granata nella zona del monte Corno Battisti, allora Corno di Vallarsa. Il rinvenimento avvenuto qualche anno fa ad opera dell'ufficio Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento, nell'ambito di un'indagine in un contesto di combattimento sul Pasubio, aggiunge un tassello alla tragica storia della prima guerra mondiale, in particolare degli scontri avvenuti sul massiccio del Pasubio nel luglio del 1916.

Il combattimento in cui rimasero vittime i tre militari ritrovati avvenne nei giorni seguenti alla cattura degli irredentisti trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi, in territorio di Vallarsa. Il monte Corno era stato conquistato dalle truppe austro-ungariche durante la Strafexpedition nel maggio del 1916; al battaglione Vicenza fu ordinato di riprenderlo, in quanto punto di osservazione strategico e come tale conteso tra i due eserciti.

Grande Guerra: le truppe su un camion dirette al monte Pasubio (Foto dall'archivio della Fondazione 3 novembre)
Grande Guerra: le truppe su un camion dirette al monte Pasubio (Foto dall'archivio della Fondazione 3 novembre)

La ricostruzione 

Gli attrezzi del mestiere hanno riportato alla luce un impressionate frammento di un campo di battaglia fermo nel tempo, non alterato dalle manomissioni dei cosiddetti "cacciatori di reperti" che rischiano di rovinare i contesti, vanificando spesso il già difficile tentativo di identificazione dei resti.

Durante il primo convegno nazionale di archeologia militare che si è svolto al Museo della Terza Armata di Padova e patrocinato dal Comando Forze Operative Nord, l'archeologo militare trentino Nicola Cappellozza della Sap (Società di ricerca archeologica), che ha operato a lungo nei territori frontalieri tra le province di Vicenza e Trento, occupandosi di contesti relativi alla prima guerra mondiale, ha spiegato come sia emerso che la fanteria italiana in quell'estate 1916 era riuscita ad acquisire, anche se per una manciata di ore, posizioni di prima linea austriache. Un dato che non figura nemmeno nei diari storici delle unità impiegate.

Dal ghiaccio sono emersi, unitamente a parti di attrezzature ed equipaggiamenti militari, i resti di diversi caduti, alcuni dei quali, grazie all'eccezionale stato di conservazione e a un rigoroso metodo scientifico applicato nel recupero e nello studio dei dati sono stati identificati; uno di loro ha recentemente fatto ritorno al paese natale, accolto, dopo un secolo, dalla sua discendenza.

L'archeologo Nicola Cappellozza durante un'indagine sui luoghi di combattimento della Grande Guerra
L'archeologo Nicola Cappellozza durante un'indagine sui luoghi di combattimento della Grande Guerra

L'importanza dell'archeologia militare

«Per indagare in quei particolari contesti - spiega Cappellozza - vengono utilizzate differenti metodologie tra le quali gli strumenti e i metodi propri della ricerca archeologica, intrecciati col lavoro di ricercatori di diverse discipline e competenze, per una conoscenza completa dei materiali e degli ambienti oggetto del recupero. Nel realizzare questi progetti si opera in collaborazione con la Procura, il commissariato generale Onoranze caduti del Ministero della difesa e le Soprintendenze per il coordinamento scientifico».

Lo scopo dell'archeologia militare, dice ancora l'esperto, «è scoprire come le civiltà del passato hanno combattuto le loro battaglie, difeso le loro terre e onorato i loro eroi di guerra. Una materia complessa che può aiutare gli antropologi e gli storici a comprendere meglio le culture antiche. Qualsiasi disciplina, applicata con rigore scientifico, può dare un contributo importantissimo alla conoscenza del mondo antico. In Veneto, su contesti della Grande Guerra, sempre con il coordinamento della Soprintendenza ai beni culturali, abbiamo lavorato al Passo della Mauria, nel Bellunese, per il recupero dei resti di un caduto austroungarico e, attualmente, stiamo lavorando con un interessante lavoro di censimento degli ex cimiteri campali distribuito nel settore del Monte Pasubio e dell'Altopiano di Tonezza Fiorentini. Quest'ultimo lavoro è collegato alla realizzazione dell'Alta via della Grande Guerra, itinerario che idealmente dovrebbe percorrere tutta la linea del fronte alpino».

«Nel nostro paese - conclude l'archeologo - il patrimonio mnemonico ereditato soprattutto dal passaggio delle guerre mondiali è veramente di grandi proporzioni; tuttavia è assai poco normato e per via della sua relativa modernità viene spesso trattato in modo amatoriale o superficiale. L'archeologia militare mette a disposizione un metodo analitico di tipo stratigrafico applicabile a qualsiasi contesto, consentendo la documentazione rigorosa del maggior numero possibile di informazioni»..

Giancarlo Noviello

Suggerimenti