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Originario di Piovene

Sud Sudan, il vescovo ferito: «Perdono chi mi ha sparato»

Invita ad allargare lo sguardo monsignor Christian Carlassare, 43 anni, neo-vescovo di Rumbek, in Sud Sudan. Sulla situazione di tensione e violenza nel Paese africano e sulle sue cause. Nella notte tra il 25 e il 26 aprile, il missionario comboniano originario di Piovene Rocchette è stato ferito alle gambe in un agguato e al momento è in ospedale a Nairobi in Kenya per la riabilitazione. Un atto di intimidazione gravissimo, maturato con ogni probabilità all’interno della stessa Chiesa, in cui sono molto forti le istanze tribali. In un’intervista esclusiva
a Credere padre Carlassare spiega perché ha deciso di perdonare i suoi assalitori e racconta le sfide immani di una diocesi che si estende su 60 mila chilometri quadrati con 1,5 milioni di abitanti.

In Sud Sudan, spiega, «ci sono troppe divisioni e troppi interessi, legati soprattutto al controllo delle risorse», dice parlando delle violenze che si sono verificate di recente nei territori di Malakal e Bentiu per la presenza del petrolio. Anche la situazione politica è instabile: nonostante l’ennesima firma di un accordo di pace nel settembre 2018, il conflitto interno al Paese continua a vari livelli. La spirale di violenze e vendette in cui spesso le comunità finiscono per sprofondate è aggravata ed esasperata anche da una situazione economica catastrofica e da una crisi umanitaria devastante. «Circa metà della popolazione vive sfollata. Ma anche gli altri spesso sono appesi alla sussistenza. Quest’anno, poi, a causa delle inondazioni, molte terre non possono essere coltivate. La gente è di nuovo alla fame». Una situazione che non favorisce il senso di comunità: «Con l’indipendenza del Sud sono emersi tutti i problemi e le divisioni interne», spiega il vescovo, che doveva insediarsi a Rumbek il 23 maggio.

«Oggi la sfida più grande è riuscire a guarire le tante ferite che il conflitto civile ha ulteriormente approfondito, dividendo la popolazione e accentuando il senso di appartenenza
alla tribù o al clan, spesso in contrapposizione con gli altri».
Il vescovo invita però a non ignorare i segni di speranza: «Nonostante le polarizzazioni e le violenze, ho visto un approccio diverso tra le persone che hanno accolto davvero il Vangelo e che agiscono di conseguenza. È qualcosa su cui si deve lavorare ancora molto per far sì che la Buona Novella entri in profondità nel cuore delle persone e lo trasformi».

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