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«Omicida in Germania» Primo sì all’estradizione

La casa di via San Rocco dove risiede la famiglia Nilov
La casa di via San Rocco dove risiede la famiglia Nilov
La casa di via San Rocco dove risiede la famiglia Nilov
La casa di via San Rocco dove risiede la famiglia Nilov

La Corte di Appello di Venezia ha accolto la richiesta di estradizione arrivata dalla Germania che domanda di poter processare l’operaio moldavo Serghei Nilov, 58 anni, residente in via San Rocco a Schio, per l’omicidio di Frank Eberl, avvenuto a Berlino il 3 marzo 1998. Alla sentenza del tribunale lagunare hanno però presentato subito ricorso alla Corte di Cassazione i legali di Nilov; gli avvocati Matteo De Meo e Claudio Mondin. «Abbiamo deciso di impugnare il provvedimento della Corte di Appello poiché riteniamo che l’estradizione debba essere supportata da una serie di elementi che in questo caso a nostro parere sono venuti meno», spiegano i difensori di Nilov. Che poi aggiungono: «Abbiamo in particolare chiesto che ci venissero presentate delle prove in grado di sostenere la responsabilità del nostro assistito in merito al reato che gli verrebbe contestato o in alternativa qualche documento contenuto nel fascicolo del pubblico ministero tedesco che sta sostenendo l’accusa». Invece la Corte d’Appello ha rigettato tutte le istanze sostenendo che in caso di esistenza di un trattato estradizione valido tra due stati (come esiste in questo caso tra Italia e Germania) non ci sia bisogno di nessuna ulteriore documentazione a sostegno della richiesta. Sono infatti sufficienti la presentazione della domanda; l’imputazione e il fatto alla base dell’inchiesta per cui si sta domandando l’estradizione. Ora i giudici “ermellini” dovrebbero pronunciarsi sul ricorso presentato dagli avvocati di Nilov entro sei mesi. L’operaio moldavo, che da oltre un decennio vive e lavora a Schio, dove si è anche sposato, si è sempre dichiarato totalmente estraneo all’accusa mossa nei suoi confronti. «È un colossale equivoco, perché con l’omicidio di Frank Eberl, non c’entro nulla - aveva detto Nilov al nostro giornale nei mesi scorsi -. È un errore, perché se è vero che ho lavorato a Berlino all’inizio degli anni Novanta dopo la caduta del muro, è altrettanto vero che non ho commesso ciò di cui mi accusano. Qualcuno deve avere fatto il mio nome sbagliandosi, o mentendo mi ha coinvolto, non ci sono alternative. Di sicuro non sono un assassino. È una follia». Il primo marzo scorso l’operaio venne arrestato dai carabinieri, che avevano eseguito un mandato di cattura europeo, nella ditta dove lavora a San Vito di Leguzzano. Nilov rimase in carcere 40 giorni in attesa della documentazione da parte della procura di Berlino che però non arrivò entro i termini. L’operaio, scarcerato e rimesso in libertà, tornò quindi al suo posto di lavoro riprendendo la vita di sempre. «Non mi sottrarrò al giudizio dei tedeschi perché sono estraneo a queste accuse che sono folli e dimostrerò di essere innocente», aveva poi aggiunto. Ora il nuovo passaggio giudiziario con l’accoglimento della richiesta di estradizione da parte della Corte di Appello di Venezia e il conseguente ricorso in Cassazione della difesa. Insomma una battaglia dall’esito ancora tutto da scrivere. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Matteo Berbardini

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