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Arsiero

Marito e padre violento: maltratta per 15 anni la moglie e i tre figli

Per quasi 15 anni avrebbe reso impossibile la vita prima alla moglie e poi anche ai figlioletti, costretti da ultimo a subire le angherie del padre nei confronti della madre, dopo che lei era scappata di casa. È un quadro famigliare a tinte fosche quello che emerge dall’inchiesta, condotta dal pubblico ministero Parisi, a carico del cittadino tunisino A. H., 43 anni, residente ad Arsiero (pubblichiamo le iniziali per non rendere riconoscibili i tre figli minorenni). L’imputato, assistito dall’avv. Silvia Parlato, è a processo davanti al collegio presieduto da Amedoro e contesta le accuse di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori. L’ex moglie, la scledense E. C., si è costituita parte civile con l’avv. Sonia Negro anche per i figli con l’intenzione di chiedere un risarcimento dei danni per l’incubo che sostengono di avere subito.

I fatti contestati riguarderebbero un lungo arco temporale, che va dall’inizio del 2006 fino al novembre 2020. Per tanti anni la vicentina avrebbe subito il comportamento violento e autoritario del marito, convinta che lo avrebbe cambiato; ma, poi, visto che nemmeno i figli lo avrebbero indotto ad una maggiore civiltà nei rapporti, ha deciso di interrompere matrimonio e relazione.
In base a quanto contestato, A. H. avrebbe maltrattato la moglie per futili motivi, legati alla convivenza quotidiana: l’avrebbe insultata con termini irriferibili, l’avrebbe minacciata, anche di morte, giungendo a impedirle di recarsi al lavoro o di frequentare altre persone; e di sovente avrebbe alzato le mani, colpendola con schiaffi, calci, pugni e strattoni. In un caso, avrebbe aggredito anche uno dei figli, che oggi ha 10 anni (gli altri due ne hanno 12 e 6), tanto che lei aveva deciso di andarsene, stabilendosi con i bambini dai suoi genitori, di modo da scappare alle botte e alle offese quotidiane.

Ma quando la presunta vittima se n’era andata, gli atteggiamenti violenti non si sarebbero conclusi, annota il magistrato nel capo di imputazione. Sì, perché il tunisino avrebbe iniziato un pressing asfissiante, fatto di continue telefonate e messaggini, fino a quando lei non lo aveva bloccato sul cellulare. E allora l’imputato si sarebbe appostato nei luoghi dove sapeva di vederla, anche davanti alla scuola frequentata dai figli, oltre che vicino alla casa degli ex suoceri. Le avrebbe portato via le chiavi dell’auto, e l’avrebbe aggredita (deve rispondere anche di lesioni aggravate, perché lei finì all’ospedale), tanto che E. C. era stata protetta dal figlio più grande. E ancora l’avrebbe minacciata, facendola vivere nel terrore e costringendola a modificare le sue abitudini di vita per evitare di incontrarlo.
Tutte contestazioni che il diretto interessato respinge. Lo farà adesso in aula, dove sono attesi i testimoni per fare piena chiarezza su quanto avveniva prima in casa, e poi fuori. 

Diego Neri

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