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Schio

Addio a Noemi, a 13 anni fu deportata a Mauthausen

All’età di 90 anni se n’è andata Noemi Pianegonda, che riuscì a tornare, insieme alla mamma Maria Bariola e alle sorelle Adriana e Valentina dai campi di sterminio nazisti, dov’era finita perché aveva il fratello Walter nella Resistenza.

La famiglia era originaria di Sant’Antonio di Valli ma Noemi risiedeva a Schio da tempo. Per anni ha raccontato il suo dramma alle scuole di tutto il Vicentino quale esponente dell’Aned. Instancabile, non mancava di tornare, assieme alle varie delegazioni, a Mauthausen e Gusen, i due lager dove perirono di stenti, malattie e violenze 11 dei 13 deportati scledensi.

All'età di tredici anni Noemi fu deportata nel campo di concentramento di Bolzano. Là ebbe modo di conoscere Mike Bongiorno, il noto presentatore, anche lui prigioniero per le origini statunitensi. Solo che il Mike nazionale trovò chi riuscì a convincere i nazisti a farlo tornare a Milano. Per Noemi invece Bolzano fu solo un campo di transito perché finì poi a Mauthausen.

«Quando sono venuti a prendermi - raccontava ai ragazzi - avevo appena iniziato la terza media ed ero una bambina. Non come i tredicenni di oggi, che sono più maturi, ma ero proprio piccola. La cosa più struggente dei tre mesi che ho passato nel carcere di Rovereto, prima di Bolzano, è stata la mancanza della mamma. Raccontare è facile, ma averlo vissuto è un'altra cosa».

Il 27 gennaio se la contendevano in tanti per la sua lucidità nel narrare cosa accadde in quel tragico periodo: «La Giornata della Memoria – riferiva agli studenti – deve essere vista come una tappa del percorso sempre vivo verso la cittadinanza attiva e la democrazia. Un’occasione di crescita per i giovani, ma anche per noi adulti».

La casa dei Pianegonda era un punto di riferimento per i partigiani. Nell'autunno 1944, come spiega lo storico Ugo de Grandis, l'organizzazione venne individuata a seguito di una soffiata. Solo il padre Valentino, ex carabiniere, riuscì a scampare all'arresto. Il 19 novembre Noemi venne prelevata da due fascisti all'istituto canossiano, dove studiava come interna, e condotta al carcere di Rovereto, dove si trovavano già la madre e le sorelle. Non avendo ancora compiuto 14 anni, il direttore del carcere si rifiutò di accettarla e la mise agli arresti domiciliari all'Istituto della Sacra Famiglia. Il 30 novembre 1944 Noemi fu trasferita al carcere di Rovereto, dove si ricongiunse con le altre donne e anche con Walter, che poco dopo fu deportato a Dachau. Nella desolazione in cui era caduta per la detenzione, il freddo, la denutrizione, Noemi poté godere del conforto di Egidio Meneghetti, prorettore dell'università di Padova, anch'egli detenuto. Egli la vide di lontano e le chiese come mai, così piccola, portasse il triangolo rosso. Lei rispose: «Perché sono sorella di un comandante partigiano». E Lui: «Portalo con orgoglio!»

L’ultimo saluto a Noemi, che lascia i figli Giorgio e Anna e gli amati nipoti, è previsto lunedì alle 10 nella chiesa del Sacro Cuore a Schio, quartiere dove risiedeva, a pochi metri da quel Villaggio Pasubio che ospita un cippo in ricordo dei deportati.

Mauro Sartori

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