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L'odissea di un vicentino

«Non dimentico
le persone morte
accanto a me»

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Diego Bosello nel suo letto in ospedale
Diego Bosello nel suo letto in ospedale
Diego Bosello nel suo letto in ospedale
Diego Bosello nel suo letto in ospedale

La fine del tunnel profuma di tortellini in brodo. Quelli che Diego Bosello, operaio, ma soprattutto noto creatore di mosche artificiali per la pesca (e protagonista anche di un servizio sul mensile Cats di marzo), ha potuto riassaporare mercoledì sera nella sua casa di Tavernelle. Il primo piatto consumato tra le mura domestiche alla fine di un lunghissimo incubo chiamato coronavirus Covid19.

«Il gusto è un po' cambiato, sento tutto molto più salato, ma ho fiducia che lo recupererò», racconta al telefono, la voce ancora stanca. Bosello, 58 anni «e nessuna patologia pregressa, a parte qualche mal di schiena occasionale», come ci tiene a sottolineare, è uno dei pazienti ammalatisi di Covid-19 che, dopo la caduta negli abissi della terapia intensiva, è riuscito a tornare alla luce.

Ventisei giorni, tanto è durata l'odissea dell'operaio, sposato e padre di due figli, dall'arrivo al pronto soccorso del San Bortolo, il 7 marzo, alle dimissioni dall'ospedale di Noventa, dove era stato trasferito per il recupero e la riabilitazione, il primo aprile.

«Non avrei mai immaginato che potesse succedere a me una cosa del genere, mai - rivela -. Se penso al reparto di terapia intensiva strapieno, ai quattro anziani che ho visto morire, agli infermieri, costretti a turni massacranti, mi sento ancora più fortunato a essere qui».

Tre tamponi dopo, l'ultimo prima del rientro a casa dove trascorrerà gli ultimi 15 giorni di quarantena, Bosello può dirsi fuori pericolo, alle prese con il lento ritorno alla normalità: «Mi affatico quasi subito ma piano piano riprenderò, per fortuna mio figlio è risultato negativo, mia moglie Emanuela invece positiva ma asintomatica al primo tampone, ora attendiamo l'esito del secondo, però sta bene, tanto da farmi i tortellini», sorride.

Di sorrisi, però, non ce ne sono stati per quasi un mese e mezzo. Da quel 22 febbraio in cui, Bosello ne è sicuro, il virus lo ha contagiato. «Lo ricordo bene perché avevo trascorso tutto il pomeriggio in fiera, a Pescare show, dove naturalmente c'era un sacco di gente - ripercorre -. Poi alla sera ero andato a una cena con alcuni parenti di mia moglie, due dei quali, provenienti da Milano, in seguito mi hanno comunicato di aver entrambi contratto il coronavirus».

Difficile risalire al momento esatto dell'infezione, di certo l'incubazione è durata qualche giorno: «Sentivo un leggero malessere ma ho continuato ad andare al lavoro, in una ditta di antinfortunistica, fino a che mi è salita una forte febbre, avevo mal di gola, ma null'altro, mi era stato prescritto solo un antibiotico - ricostruisce - fino al 7 marzo quando, dopo la diagnosi di Covid-19 al San Bortolo, le ultime parole del medico del pronto soccorso sono state: "Ti dobbiamo addormentare"».Di lì il ricovero in terapia intensiva, intubato e alimentato con un sondino per 10 giorni, durante i quali, mentre era in coma farmacologico, ha combattuto la polmonite che lo aveva aggredito. Poi, altri 12 giorni in malattie infettive, lo spostamento a Noventa e, infine, le parole più attese: «Il tampone è negativo, possiamo mandarla a casa».

Dove riappropriarsi di spazi, abitudini, momenti, sognare la pensione, a giugno, la costruzione di nuove esche artificiali («per ora ho solo accarezzato il morsetto, appena sarò più in forze mi rimetterò all'opera)», l'ultimo saluto, casalingo, all'anziana mamma, morta domenica all'età di 86 anni, mentre Bosello si trovava ancora in ospedale.«Ci sarà solo un rito intimo a cui andrà mio fratello, io le dirò addio a modo mio», sussurra. Morte e vita, fine e inizio: dalle finestre di casa, finalmente, entra il sole.

Giulia Armeni

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