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Arcugnano

Modì e la burla
Le false teste
in mostra

Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferrucci in una foto dell’epoca con la scultura attribuita inizialmente a Modigliani
Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferrucci in una foto dell’epoca con la scultura attribuita inizialmente a Modigliani
Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferrucci in una foto dell’epoca con la scultura attribuita inizialmente a Modigliani
Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferrucci in una foto dell’epoca con la scultura attribuita inizialmente a Modigliani

ARCUGNANO. A Livorno e ai livornesi ci sono voluti trent’anni per elaborare il lutto, digerire la beffa d’autore, rassegnarsi all’idea che la loro orgogliosa città si era fatta gabbare da tre ragazzi geniali, capaci di rendere vero il falso, dando però dignità al falso stesso. Facile se dietro a tutto c’è il fascino di Modigliani. Era 1984, la città si appresta a celebrare il suo grande artista, la direzione del museo civico fa girare nell’ambiente culturale la leggenda che Modì avrebbe gettato nei canali di Livorno tre teste scolpite depresso perchè non gli riuscivano. Un’operazione di marketing un po’ raffazzonata ma abbastanza incisiva da alimentare la leggenda. Ma nella terra del Vernacoliere, la leggenda si mescola al mito e a volte alla cronaca. Michele Ghelarducci, Pietro Luridiana e Pierfrancesco Ferrucci sono tre studenti universitari e non gli pare vero di organizzare la grande burla. Realizzano la testa in stile Modigliani, un blocco di pietra che poi getteranno nel Fosso reale di Livorno. Pochi giorni dopo il ritrovamento, la stampa nazionale a gridare al miracolo artistico, la critica a decantare la grandezza di Modigliani ma soprattutto a confermare che quella scultura è di Modì, morto dopo una vita di stenti e di eccessi a Parigi nel 1920. Il clamore fu così grande che i tre si sentirono in dovere di uscire allo scoperto e un mese dopo il ritrovamento si presentarono nella redazione di Panorama con le foto che testimoniavano la grande beffa. Qualche giorno dopo un’artista livornese, Angelo Foglia, racconta di aver realizzato le altre due teste ritrovate sempre lungo i corsi d’acqua che attraversano la città, con l’intento di provocare e di mettere a nudo il mondo dell’arte.

E adesso quelle teste di pietra, a metà tra un sasso e un’opera d’arte, relegate negli scantinati del museo civico di Livorno saranno esposte dal 3 al 10 marzo nel municipio di Arcugnano. Così la burla, lo scherzo, diventa non solo oggetto di studio ma la chiave per entrare nel mondo dell’arte vera e geniale che fu di Amedeo Modigliani. Il contrario cioè di un falso vero e di una storia che non c’è, a qualche chilometro di distanza sulle colline dove un anfiteatro spacciato per antico e romano, altro non è che un falso senza burla, orfano di autentica ironia. A celebrare lo scherzo in tempo di carnevale ci ha pensato il sindaco Paolo Pellizzari che si è tuffato nel terreno (comunque scivoloso) del falso d’autore come guida all’arte. «Eppure credo che sarà un modo per conoscere chi era Modigliani, si può avvicinare la gente a questo grande artista anche attraverso la storia di una memorabile beffa».

E a raccontare come si arrivò a quell’idea e cosa avvenne dopo, ci sarà Pierfrancesco Ferrucci, uno dei tre studenti dell’epoca che sarà ad Arcugnano il 3 marzo. «La gente non si coinvolge più con le solite modalità - insiste Pellizzari -. Per parlare di arte bisogna trovare altri modi, e se discutere di un falso serve per conoscere le opere di Modigliani, ben vengano questi incontri». Saranno gli operai del Comune ad andare fino a Livorno e a spostare quelle pietre viste come un’onta da dimenticare. Ma qui nessuno vuole dimenticarle, anzi: «Eppure hanno il loro valore - aggiunge Pellizzari - visto che il museo chiede tutte le garanzie come si trattasse delle vere teste di Modì».

Eugenio Marzotto

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