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Bobo Cerea, il tristellato da paccheri al pomodoro

Gli aspiranti chef del Master in alta cucina dell’Università del Gusto assieme a Bobo Cerea. FOTO TONELLOIl tristellato Bobo Cerea mentre prepara uno dei piatti del ristorante
Gli aspiranti chef del Master in alta cucina dell’Università del Gusto assieme a Bobo Cerea. FOTO TONELLOIl tristellato Bobo Cerea mentre prepara uno dei piatti del ristorante
Gli aspiranti chef del Master in alta cucina dell’Università del Gusto assieme a Bobo Cerea. FOTO TONELLOIl tristellato Bobo Cerea mentre prepara uno dei piatti del ristorante
Gli aspiranti chef del Master in alta cucina dell’Università del Gusto assieme a Bobo Cerea. FOTO TONELLOIl tristellato Bobo Cerea mentre prepara uno dei piatti del ristorante

Alberto Tonello CREAZZO L’essenza di quello che andremo a breve a raccontarvi sta racchiusa tutta in questo piatto, semplice, umile, potente ed evocativo. Mediterraneo nell’accezione più vera del termine e che da 36 anni rappresenta il marchio indelebile di uno dei nove tre stelle Michelin d’Italia. Stiamo parlando dei “Paccheri alla Vittorio”, dove Vittorio sta per Cerea, fondatore, nel 1966, assieme alla moglie del ristorante “Da Vittorio” a Brusaporto, Bergamo, meta irrinunciabile (come dalla famiglia Santini, a Dal Pescatore) per qualsiasi gourmand. Mentre i paccheri altro non sono che una pasta al pomodoro, mantecata grana al tavolo. Niente sferificazioni, fermentati o muffe, ma tanta scarpetta alla fine. Questo è il piatto più richiesto dai clienti del tristellato, questo è il piatto che rappresenta la filosofia di cucina di Enrico e Bobo Cerea, figli di Vittorio. Roberto, per tutti Bobo, 47 anni, sposato con Veronica e papà di due splendide signorine, Giulia e Matilde, ieri mattina era a parlare agli aspiranti chef del Master in alta cucina dell’Universita del Gusto dell’Esac-Confcommercio di Creazzo. Cosa significa aver preso il posto di papà nel tempio della cucina italiana? Significa aver assecondato quello che era un disegno superiore, un destino che risale a quando tornati da scuola alle medie, si andava ad aiutare al ristorante. Io ero un po’ cicciottello, dunque in cucina, i fratelli più smilzi in sala. Poi il diploma e l’ingresso ufficiale. Certo sì, non prima però di aver fatto un bel po’ di gavetta in Francia dove ho fatto esperienza a livello professionale, ma anche umano. “Pelavo patate” e guardavo preparare i piatti per rubare i segreti di cucina. Mai messo in discussione il destino segnato di chef? Non è stato un amore a prima vista, quando sei ragazzino la testa non è al lavoro, prima viene il divertimento, le ragazze. La consapevolezza è arrivata dopo la scuola, mi sono detto: cosa faccio adesso? E mi sono reso conto che l’unica cosa che sapevo e mi piaceva fare era cucinare. Anche Da Vittorio ha iniziato dal basso? Certo, se penso quanti scampetti mi ha fatto pulire mio papà, avevo le mani tutte tagliate, e poi il pesce e i funghi, dio solo sa quanto roba ho pulito. Qual è il suo piatto preferito, quello che le viene meglio? Sono cresciuto accanto ad uno chef da primi piatti, Vittorio Bendotti, ha lavorato una vita da mio papà è stato il mio primo maestro, io sono uno chef da risotti. Punto. Poi sono bravo con tutti primi, ma il risotto è la mia passione. Sostanza o forma? Oggi come oggi un cliente si aspetta un prodotto di massima qualità. Mio papà aveva selezionato i migliori fornitori per avere la materia prima più buona, indipendentemente dal prezzo. Oggi è uguale, la settimana scorsa ci è arrivata una aragosta dalla Sardegna di 5 chili, in questo caso non c’è ricetta che tenga, si fa una pasta e parla la materia prima. Quale messaggio ha dato ai giovani del master? Che è un lavoro di grande soddisfazione, ma che toglie tante cose alla vita, i giovani vedono solo la parte bella e non quella di sacrificio. Bisogna essere appassionati e dedicarsi anima e corpo, se lo sai fare bene non resterai mai a piedi. La scuola è importante però poi conta l'esperienza nei ristoranti. E lei fuori dal ristorante cosa fa, come si rilassa? Sto con la famiglia, con le miei figlie, adoriamo il mare e quindi quando possiamo andiamo al sud, natura splendida, accoglienza e materia prima pazzesca. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Alberto Tonello

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