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«Scossoni al figlio perché piangeva» Neonato in coma

Un reparto di Terapia intensiva pediatrica in una foto di repertorio
Un reparto di Terapia intensiva pediatrica in una foto di repertorio
Un reparto di Terapia intensiva pediatrica in una foto di repertorio
Un reparto di Terapia intensiva pediatrica in una foto di repertorio

«Piangeva, piangeva e non smetteva mai. Erano due ore e mezza che continuava a piangere. Mio marito dormiva, io ho preso in braccio il nostro bambino. Camminavo su e giù per la casa cullandolo nel tentativo di calmarlo. L’ho solo cullato, nient’altro. Non ricordo di averlo scosso. Poi ha smesso di piangere e l’ho rimesso a letto. In quel momento mi sono accorta che non respirava. Ho svegliato mio marito e abbiamo chiamato l’ambulanza». È sbiadito il ricordo di una mamma 29enne mentre ricostruisce la drammatica mattinata di sabato scorso. L’unica certezza è che il figlioletto, cinque mesi e mezzo, non si era calmato: era in coma. E ora, da tre giorni, si trova ricoverato nel reparto di Terapia intensiva pediatrica dell’Azienda ospedaliera di Padova. Gravissime le condizioni: ancora in pericolo di vita, tutte le sue funzioni vitali sono affidate alle macchine. La madre, originaria di Mussolente e residente a Mestrino (Padova) , è sotto inchiesta: il pubblico ministero padovano Roberto Piccione le contesta il reato lesioni volontarie aggravate. E’ sabato mattina presto. Il pianto irrefrenabile del bimbo dura da più di due ore e mezza. Chissà cosa passa in testa alla giovane mamma, sopraffatta dalla stanchezza di una giornata trascorsa tra le necessità quotidiane di una casa da seguire e i due cucciolotti, il piccolino di 5 mesi e mezzo e la sorellina di un anno e mezzo. Troppa responsabilità e fatica, forse. Il dolce dondolìo fra le braccia materne potrebbe essersi trasformato in un’azione più violenta. Sono i genitori a chiamare il Suem: al telefono spiegano che il figlio non respira. Quando l’équipe del Servizio di emergenza arriva nell’abitazione, subito il medico capisce che il piccolo è gravissimo. E che potrebbe aver subito uno scuotimento, presentando la sindrome del bambino scosso (Sbs, acronimo di baby shaken syndrome), varietà di segni e di sintomi tipici dei neonati soggetti a uno scuotimento violento in grado di provocare danni neurologici, dal coma alla morte. Dopo la corsa in ospedale, nella casa arriva una pattuglia di carabinieri della stazione di Mestrino. Viene informato dell’accaduto il pm di turno, Roberto Piccione. Intanto in ospedale sono eseguiti tutti gli accertamenti diagnostici sul neonato: Tac, elettroencefalogramma e risonanza magnetica. Il sospetto diventa quasi certezza: le lesioni cerebrali risulterebbero compatibili con un forte scuotimento. In serata i genitori vengono convocati in caserma dove arriva il magistrato. Prima è sentito come persona informata sui fatti il papà, 37enne, lavoratore dipendente. Poi la mamma, la cui posizione, a un certo punto, si fa critica perché si accerta che il padre dormiva ed era la moglie a occuparsi del bambino. Così l’interrogatorio è sospeso e riprende con l’assistenza di un difensore, l’avvocato Leonardo Massaro. In tarda serata la mamma esce dalla stazione dell’Arma: è libera ma sotto inchiesta per lesioni volontarie aggravate ai danni del suo bambino. Al momento è l’unico episodio di scuotimento accertato. E – secondo gli investigatori – parzialmente ammesso. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Cristina Genesin

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