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«Popolare Marostica, bilanci falsi per 3 anni»

L’ex dg Gasparotto, alla sua sinistra l’allora presidente Cecchetto e alla destra il vicepresidente Zuech
L’ex dg Gasparotto, alla sua sinistra l’allora presidente Cecchetto e alla destra il vicepresidente Zuech
L’ex dg Gasparotto, alla sua sinistra l’allora presidente Cecchetto e alla destra il vicepresidente Zuech
L’ex dg Gasparotto, alla sua sinistra l’allora presidente Cecchetto e alla destra il vicepresidente Zuech

I bilanci del triennio 2010-2012 della Banca Popolare di Marostica, fusa per incorporazione il 1 aprile 2015 nella Popolare dell’Alto Adige (Volksbank), sono falsi. Lo scrive la Corte di Cassazione. A suo dire l’iscrizione dei valori (sovrastimati) dell’acquisto della Banca di Treviso è stato un pasticcio contabile, anche per gettare fumo negli occhi dei soci, all’epoca in subbuglio, indicando per due anni un reddito netto che non ci sarebbe stato. I giudici di legittimità respingono il ricorso della banca contro il sequestro di 2,6 milioni dei euro, eseguito nel luglio 2015 dalla Polizia Tributaria di Vicenza su ordine del gip Stefano Furlani, nell’ambito dell’inchiesta per falso in bilancio. Sotto inchiesta ci sono l’allora direttore generale Gianfranco Gasparotto e il consiglio d’amministrazione presieduto da Giovanni Cecchetto, oltre che il collegio sindacale guidato da Gabriele Rizzato. In tutto si tratta di 12 persone iscritte sul registro degli indagati, nei confronti delle quali il pm Gianni Pipeschi si appresta a chiudere le indagini preliminari per chiedere il processo.

IL CASO. Continua a produrre effetti negativi, dunque, l’acquisto degli 11 sportelli della Banca di Treviso, di proprietà nel 2010 di Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife), per i quali Popolare Marostica oltre a pagare un prezzo oggetto di contestazione - 28,5 milioni dopo che il contratto del 2010 prevedeva un prezzo di 38 milioni - vede gli allora vertici al centro di un duro contenzioso penale. Il dg Gasparotto ha sempre difeso l’operazione spiegando che il prezzo per sportello, 2,5 milioni l’uno quando all’epoca il mercato li valutava fino a 10 milioni ciscuno, era congruo.

L’ACCUSA. Il Supremo collegio presieduto da Carlo Zasa concorda con il tribunale del Riesame di Vicenza nel ritenere che i tre bilanci in questione non sono oggetto di un “falso valutativo”, come sostenuto dagli avv. Enrico Ambrosetti e Carlo Bertacchi, bensì si è assistito «nei tre bilanci 2010-2012 ad appostazioni in bilancio di valori oggettivamente e palesemente non corrispondenti al dato contabile sottostante oggetto di rappresentazione». Di conseguenza, considerando che i primi due bilanci si erano chiusi con un utile rispettivamente di 6,9 e 2,1 milioni di euro (mentre il 2012 con una perdita di 12 milioni per effetto delle svalutazioni riferite a Banca di Treviso in seguito all’ispezione di Bankitalia), per la Corte c’è stato un «profitto confiscabile nella misura dell’utile non distribuito e destinato a riserva». Appunto quei 2,6 milioni di euro sigillati dai finanzieri del colonnello Livio De Luca.

IL FALSO. I legali Ambrosetti e Bertacchi hanno insistito sulla depenalizzazione dei falsi estimativi contestando che l’iscrizione in bilancio del valore delle quote acquistate da Carife non corrispondeva al valore reale della partecipazione. Nel 2010 era stato iscritto correttamente a bilancio il valore di 38 milioni, che nel 2011 era stato ridotto a 20,5 milioni, iscrivendo nel contempo il valore di 18 milioni quale credito nei confronti di Carife per la svalutazione prevista dalle clausole contrattuali. Per la difesa, insomma, la natura valutativa nasceva dall’iscrizione di 17,8 milioni di euro come credito e non, come sostenuto dal pm Pipeschi, come mera attività potenziale. La controversia, come si legge, è molto tecnica, tuttavia la Cassazione sostiene che i vertici della Banca Popolare di Marostica - che all’epoca aveva 7500 soci - hanno commesso un potenziale illecito penale, falsificando i bilanci, perché se la partecipazione Banca di Treviso fosse stata iscritta in maniera corretta anche i rendiconti 2010-2011 si sarebbero chiusi in perdita con tutto quello che consegue, anche nei rapporti con i soci, che avevano pesantemente contestato l’operazione Banca di Treviso. Il processo sarà la sede idonea per capire chi ha eventualmente sbagliato.

Ivano Tolettini

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