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Altopiano

«Pestato da tre carabinieri: mi hanno quasi ucciso e adesso voglio giustizia»

Il 28enne, che ora è in Svizzera, in ospedale dopo la colluttazione
Il 28enne, che ora è in Svizzera, in ospedale dopo la colluttazione
Il 28enne, che ora è in Svizzera, in ospedale dopo la colluttazione
Il 28enne, che ora è in Svizzera, in ospedale dopo la colluttazione

«Ho le lacrime agli occhi. Dopo più di due anni difficilissimi, durante i quali ho sofferto tanto, finalmente la verità sta venendo a galla». Fatica a trattenere l'emozione, Bukuran Nishori, 28 anni, il bassanese di origine balcanica vittima due anni fa di una presunta vicenda di violenza (saranno i giudici a stabilire la verità durante il processo) da parte di tre carabinieri ad Enego.

La storia è grave da qualsiasi lato la si guardi. Nell'estate del 2019, Nishori, con trascorsi nelle leghe minori di calcio come centrocampista, assieme agli amici Giulio Bertezzolo e Mustapha Gatfy, tutti di Bassano, è salito a Enego per partecipare a un torneo di calcetto a cinque. Al termine della gara, Nishori, sempre con Bertizzolo e Garfy, si sono fermati per dissetarsi e fumare una sigaretta. E da quel momento è successo il fatto. «Non posso entrare troppo nei dettagli perché c'è il processo - spiega Nishori - ma un uomo ha colpito Bertezzolo per fargli cadere la sigaretta e io ho reagito spingendo l'individuo, che era in compagnia di altri due. Cosa per il quale ho già patteggiato. Dopo la mia reazione si è scatenato il finimondo tra colpi e calci, tanto che ho riportato due fratture e vari traumi. Deve essere chiara una cosa: i tre non si sono mai qualificati come carabinieri fino a quando non è arrivata l'ambulanza».

I tre, stando all'inchiesta, erano il militare Davide Buosi, il vicebrigadiere Andrea Gabrieli e un terzo; poi è giunto l'appuntato scelto Davide Licata, in quel momento fuori servizio. Dovranno rispondere di lesioni gravi. Nishori è stato ricoverato per due fratture. «Sono più di due anni che aspetto in silenzio e accettando le voci di corridoio che sento - riprende Nishori, che oggi vive e lavora in Svizzera -. Ho perso il lavoro perché l'azienda non mi ha più rinnovato il contratto quando hanno saputo dei quattro mesi di prognosi. Mentre ero in ospedale non sapevo a cosa pensare, a cosa fare o a chi rivolgermi per far venire fuori la verità. Sono però venuti i carabinieri ancor prima che mi dimettessero. Appena uscito dall'ospedale il carabiniere che mi ha spaccato la testa (secondo la Procura, si tratterebbe di Buosi, ndr) si è addirittura presentato a casa per dirmi di non fare denuncia. In seguito i carabinieri mi hanno persino sequestrato il telefono. Ero disperato ma l'avvocato Roberto Dissegna mi ha aiutato e mi ha dato la forza per denunciare tutto, mentre altri legali mi avevano consigliato di patteggiare senza fare querela così come altri amici e conoscenti mi dicevano che mi stavo mettendo contro lo Stato e quindi la partita era persa. A logorare nel tempo è anche il fatto di essere considerato solo l'ennesima risorsa venuto in Italia per delinquere».

«Io mantengo ottimi ricordi di Enego, mi sono sempre trovato bene, e non voglio certo puntare il dito contro tutte le forze dell'ordine - conclude -. Però quel carabiniere mi ha quasi ucciso con un calcio e mi ha pure denunciato. Spero che altri prendano esempio da me anche per proteggere i poliziotti e i carabinieri che fanno il loro lavoro i con onestà, spesso senza nemmeno un grazie».

Gerardo Rigoni

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