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«Malato e senza aiuti ora chiedo l’eutanasia per morire con dignità»

Stefano insieme alla sorella, anch’ella malataStefano Gheller nella sua abitazione di Cassola FOTO  CECCON
Stefano insieme alla sorella, anch’ella malataStefano Gheller nella sua abitazione di Cassola FOTO CECCON
Stefano insieme alla sorella, anch’ella malataStefano Gheller nella sua abitazione di Cassola FOTO  CECCON
Stefano insieme alla sorella, anch’ella malataStefano Gheller nella sua abitazione di Cassola FOTO CECCON

«Siccome non mi hanno mai permesso di sopravvivere con dignità, almeno sceglierò di morire con dignità». Un annuncio terribile quello di Stefano Gheller, 46 anni, di Cassola, affetto dalla nascita di una grave forma di distrofia muscolare che lo ha immobilizzato su una sedia a rotelle all’età di 14 anni. Vuole l’eutanasia. Vive attaccato a un respiratore, ha bisogno di un’assistenza costante per mangiare, bere, soffiarsi il naso, lavarsi, spostarsi. La pensione di invalidità non gli permette di pagarsi una badante a tempo pieno. Così è condannato al costante terrore che il respiratore si stacchi quando la persona che lo segue a mezzo servizio non c’è, mentre aspetta comunque l’aggravamento inesorabile di una malattia che entro pochi anni lo ridurrà in un letto, definitivamente immobile. Stefano Gheller vuole scegliere l’eutanasia. «Che vita è questa? Non ho mai fatto una vacanza - spiega con la voce cadenzata dal ritmo inflessibile del respiratore - non ho i soldi per pagarmi una maglietta nuova o una pizza, devo chiedere aiuto per tutto, spesso affidandomi ad amici caritatevoli, perché con la pensione che mi passano riesco a malapena a pagare le tasse e una badante che stia con me la mattina e la notte. Nel frattempo muoio, sento il mio corpo, o quello che ne rimane, abbandonarmi giorno dopo giorno; i rimasugli di umana libertà, strappati alla malattia con tanta sofferenza, diventare sempre più risicati. Un giorno mi sveglierò e non riuscirò più a muovere nemmeno le due dita che adesso mi servono per comandare la carrozzina, mi faranno una tracheotomia e diventerò “padrone” di un letto». Che tutto questo sia un quadro realistico, Stefano lo vede tutti i giorni: «Lo so perché è quello che è successo a mia madre: ha involontariamente trasmesso questa patologia a me e mia sorella, è lo specchio di quello che ci succederà. Io però così non ci voglio finire. Non ho mai potuto decidere nulla nella mia vita, ma come morire posso: ho preso contatti con una clinica in Svizzera, là per morire ci vogliono 10 mila euro, quelli che mi mancano li chiederò agli amici, oppure attiverò una raccolta fondi. Ho già avviato le prime pratiche. Quando l’ho detto a mia madre, ha tentato di strapparsi i tubi che la tengono in vita per tre volte: non vuole morire prima di me. Allora per rassicurarla le ho detto che la aspetterò: lei e mia sorella sono tutto per me, farei di tutto per loro, ma non so se riuscirò a mantenere la promessa. Aspettare significa dare potere alla malattia, significa rischiare di non poter più scegliere». Quando parla di sua madre Stefano piange, il viso si riga di lacrime che non può nascondere né asciugare. Ma non si vergogna per quelle, piuttosto del fatto di essere stato costretto a mettere la mamma in una casa di riposo: «Tre anni fa era ancora qui con me, avevamo dei badanti che ci hanno derubato e pure minacciato di morte - spiega - Ho capito che non potevo difenderla, ho deciso che in una struttura almeno sarebbe stata al sicuro da altri mali del mondo. Quella scelta è un peso che mi porto addosso ogni istante, io mi chiedo come facciano le persone che stanno bene a portare i propri genitori via da casa». Poi c’è la questione della sopravvivenza quotidiana, riassunta in una lettera dettata senza mezzi termini, inviata mesi fa a Regione, Ulss 7, Comune, dove Stefano chiede maggiore sostegno economico per pagarsi un’assistenza completa, che adesso davvero non può permettersi: «La Regione mi passa 800 euro al mese, tra le varie reversibilità e pensioni di invalidità arrivo a 1.800, ma una badante in regola a tempo pieno ne costa 4 mila - spiega -. Io non sono ricco, rinuncio a tutto per pagare ore in più, e comunque non bastano. Se mi si stacca il respiratore quando sono solo muoio, se mi cade il braccio dal bracciolo non posso più guidarla la carrozzina, se mi scappa la pipì me la devo tenere. Se hai la Sla ti passano tutti i supporti possibili, io ho solo una malattia con un nome diverso ma cattiva uguale. E non parlatemi di casa di riposo: dal mio domicilio non mi muovo». Adesso Stefano non piange più, è arrabbiato, parla più velocemente, anche il respiratore sembra essersene fatto una ragione. È forte Stefano, e coraggioso. È terribile che ora sogni di morire, ma non è sempre stato così: «Avrei tanto voluto visitare New York, vorrei tantissimo conoscere Madonna, la ascolto da quando era ragazzino, quando ancora un po’ mi muovevo e potevo addirittura immaginarmi di ballare». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Francesca Cavedagna

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