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Cassola

Chiede il suicidio assistito, incontra il vescovo Pizziol. «Continuerò a lottare»

Il colloquio tra il vescovo Beniaminio Pizziol e Stefano Gheller nell’abitazione di quest’ultimo
Il colloquio tra il vescovo Beniaminio Pizziol e Stefano Gheller nell’abitazione di quest’ultimo
Il colloquio tra il vescovo Beniaminio Pizziol e Stefano Gheller nell’abitazione di quest’ultimo
Il colloquio tra il vescovo Beniaminio Pizziol e Stefano Gheller nell’abitazione di quest’ultimo

Lo aveva incontrato nel 2019, quando Stefano Gheller aveva resa pubblica per la prima volta la sua volontà di ricorrere al suicidio assistito; era stato presente con discrezione anche nei mesi successivi quando il disabile di Cassola si era trovato in ristrettezze economiche; poi anche nel 2020 quando aveva celebrato il funerale dell’amata madre, mancata per la stessa patologia genetica degenerativa; e si è messo a disposizione anche ieri, quando è tornato a San Giuseppe di Cassola per ascoltare Gheller e parlare con lui della richiesta recentemente inviata all’Ulss 7 Pedemontana (prima istanza di questo genere in Veneto) per chiedere appoggio per la dolce morte.
Monsignor Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza, per Stefano Gheller, c’è sempre stato. In modo pacato, e mai invadente, gli ha sempre fatto sentire la sua vicinanza, anche con azioni concrete che non ha mai voluto pubblicizzare.
E proprio la sua volontà di essere vicino al malato è stata la ragione che ieri pomeriggio lo ha portato in casa del malato per un confronto con il disabile ormai “quasi amico”.
Monsignor Pizziol è arrivato a San Giuseppe di Cassola intorno alle 15.30. Il colloquio è durato quasi un’ora. «Adesso con la richiesta all’Ulss, sei diventato davvero famoso: magari sarebbe stato meglio non aver avuto bisogno di esserlo per questi motivi… Ma allora, ci vai in ferie?». La chiacchierata tra il presule e Gheller è cominciata così, parlando di Bibione, della struttura che a fine agosto ospiterà il disabile, che il vescovo conosce e dice essere molto attrezzata e curata. Un avvio volto alla speranza, quindi, alle prospettive belle che la vita può ancora offrire al quarantanovenne fiaccato da una distrofia irreversibile.
Poi monsignor Pizziol ha voluto sondare lo stato d’animo di Stefano, anche per capire quali nuove motivazioni si nascondano dietro la richiesta di supporto al suicidio assistito. Dopo che il vescovo si è congedato per tornare a Vicenza, il disabile ha spiegato in poche parole i temi affrontati: «Il vescovo era preoccupato che avessi fretta di morire - spiega -. Era preoccupato della mia situazione di salute, ha voluto sapere come sto e se sono peggiorato. Ma basta guardarmi per capire che lo sono. Poi ha voluto capire meglio le motivazioni della mia scelta e mi ha chiesto se sarei andato avanti a lottare finché ne avrò la forza. Ho risposto di sì, gli sono grato».
«A me piace la vita - riprende Gheller -, forse questo qualcuno non l’ha capito bene. Le persone che scelgono di mettere fine alla loro vita non lo fanno perché la odiano, lo fanno perché non la considerano più tale. In questo modo c’è un grande senso di fede, di pace, di speranza e rispetto». La risposta che Gheller ha dato a monsignor Pizziol forse è stata anche di speranza, per quanto il disabile dichiari di non avere intenzione di fare passi indietro sulle pratiche inviate all’Ulss 7. Dove lunedì, per esaminare il suo casi, si è riunito il comitato etico, ieri la commissione medica.
Gheller ribadisce: «Farò ricorso al suicidio assistito quando la mia malattia peggiorerà a tal punto da non permettermi più di vivere una vita dignitosa. Ed è questo che ho detto al vescovo. Un anno fa potevo parlare, mangiare quasi quello che volevo, muovere meglio il braccio. Oggi parlo con estrema difficoltà, faccio fatica a farmi capire, non riesco più a mangiare quasi nulla di quello che mi piace perché ho il terrore di strozzarmi col cibo, muovo solo qualche dito. Non mi sono arreso, anzi ho aggiunto una nuova battaglia: ora combatto quella per il diritto al fine vita. Se la vincerò, sarà l’eredità che lascerò a chi soffre come me».

Francesca Cavedagna

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