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Il racconto di Rigoni Stern diventa un film

Gallio Festival e Rio collaborano con il regista Fabio Rosi, già premiato nel 2001 dallo stesso scrittore, al film tratto da “Un Natale del ’45”.
Lo scrittore Mario Rigoni Stern nei suoi boschi (Foto archivio GdV)
Lo scrittore Mario Rigoni Stern nei suoi boschi (Foto archivio GdV)
Lo scrittore Mario Rigoni Stern nei suoi boschi (Foto archivio GdV)
Lo scrittore Mario Rigoni Stern nei suoi boschi (Foto archivio GdV)

Il racconto breve di Mario Rigoni Stern “Un Natale del 1945” diventerà un film. Proprio in questi giorni è iniziata la preproduzione della pellicola a cura del presidente dell’associazione culturale Gallio Film Festival Sergio Sambugaro e di Roberto Gambacorta di Rio Film, assieme al regista e sceneggiatore Fabio Rosi. Laureato in lettere moderne all'università della Sapienza e con studi a New York, Rosi attualmente lavora al Centro sperimentale di cinematografia dove, in precedenza, si era diplomato in regia. Il suo esordio con i lungometraggi è avvenuto con “L'ultima lezione” che ha vinto un Globo d'oro e l’edizione 2001 del Gallio Film Festival, dove Rosi è stato premiato proprio da Mario Rigoni Stern.

Il racconto di Rigoni Stern “Un Natale del 1945” diventa un film

Il racconto parla dell’incontro tra un ex deportato sotto il nazismo e il maestro che lo aveva fatto condannare per banditismo. Rosi, nella stesura della sceneggiatura, ha voluto porre l’accento sull’impossibilità della riconciliazione senza che venga restituita anche la dignità alla vittima; compito difficile per mantenere la fedeltà e rispettare l’importanza delle parole che caratterizza gli scritti di Stern.

Il regista e sceneggiatore Fabio Rosi

«Per Mario Rigoni Stern la parola è essenziale, scelta con cura, più che aggiunta - illustra infatti il regista -. Soprattutto in questo racconto, che parla dell’evidente impossibilità di una riconciliazione, attraverso un particolare incontro tra due anime cui il tempo ancora non ha restituito la dignità risolta di chi guarda avanti e basta. Due personaggi che l’autore delinea con estrema chiarezza, l’uno carnefice, l’altro vittima. Senza possibili equivoci».

Altra difficoltà nella realizzazione del film è che il racconto in sé è molto breve. Rosi ha risolto «usando immagini, suoni, rumori. Mai parole, propriamente “battute”, se non alla fine, con quell’unica, concisa sentenza che pesa però come un macigno sulle coscienze di entrambi. Non è un film muto ma piuttosto un film non parlato. Dove a parlare sono gli ambienti, i volti, gli sguardi, le emozioni».

Lo spunto storico

L’intenzione è di far vedere, più che sentire, attraverso i protagonisti del racconto, ciò che successe durante il nazifascismo sul quale non c’è ancora stata una riconciliazione conclusiva in Italia. «Lo spunto storico è di gran moda, e lo sarà per molti anni, direi almeno trentacinque-quaranta - considera Rosi -. Forse, con e dopo il centenario della Liberazione, le memorie saranno diventate “ricordi dei ricordi” abbastanza storicizzate da poterle affrontare con l’ottica del distacco etico. Da parte di tutti. Non so se poi ci sarà vera riconciliazione oppure piuttosto prevarrà la voglia di consegnare definitivamente quel periodo alla storia remota, quella che non suscita emozioni ma solo nozioni con buona pace di chi è stato e ormai non sarà più. Non oggi, però. Infatti nel racconto paradossalmente è il primo personaggio a tentare un gesto positivo mentre è il secondo a togliere di mezzo ogni dubbio su un ipotetico buonismo con la sua risposta dal contenuto diametralmente opposto. Le ferite sono ancora aperte».

 

Gerardo Rigoni

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