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Adesca nove ragazzine usando le foto del figlio Finisce sotto processo

Massimo Mantoan, l’imputatoIl palazzo di giustizia di TriesteUn investigatore della polizia postale  ARCHIVIO
Massimo Mantoan, l’imputatoIl palazzo di giustizia di TriesteUn investigatore della polizia postale ARCHIVIO
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Si presentava in chat come uno studente universitario al primo anno di medicina, fotomodello e appassionato di equitazione. Un bel ragazzo e intelligente, capace insomma di fare colpo senza difficoltà. Ma dietro a questo profilo si celava un uomo di sessant’anni che utilizzava le foto del figlio per cercare delle ragazzine. Un perverso stratagemma che, secondo la Procura di Trieste, ha permesso al pregiudicato bassanese Massimo Mantoan, oggi 63enne, ex imprenditore, sposato e con figli, difeso dall’avvocato veneziano Luigi Ravagnan, di adescare in rete ben nove minorenni residenti a Bassano, Cassola, Tezze, Vicenza, Pordenone, Teramo, Pistoia, Torino e Roma: molte gli hanno inviato fotografie in cui erano nude e hanno scambiato con lui messaggi a luci rosse, e con un paio di esse l’uomo ha pure avuto dei rapporti sessuali o scambi di effusioni. Questo, almeno, secondo le indagini. LE ACCUSE. L’inchiesta è partita grazie a una mamma che ha trovato nel cellulare della figlia immagini e messaggi inequivocabili. La donna ha sporto denuncia e la polizia postale di Pordenone attraverso le tracce informatiche e le utenze mobili è risalita all’uomo. Adesso Mantoan è a processo in tribunale a Trieste per i reati di adescamento di minore e detenzione di materiale pedopornografico. I fatti di cui il bassanese è accusato, stando al capo d’imputazione, si sarebbero consumati tra la fine del 2013 e l’inizio del 2015, quando le giovani avevano, a seconda dei casi, dai 13 ai 17 anni. LE VITTIME. Proprio da una tredicenne di Pordenone, dopo lusinghe via sms e chat, Mantoan si è fatto mandare una foto in cui lei era a seno nudo. Con la stessa tecnica e con proposte scabrose, nel corso del 2014 ha avuto contatti con la cassolese, quattordicenne, la quale però gli ha spedito delle foto hard scaricate da internet, non sue quindi, tranne quelle in cui appariva solo di viso. Da una quindicenne abruzzese e da una quattordicenne pistoiese Mantoan ha ottenuto immagini di nudo o in costume e ha cercato anche di avere degli incontri sessuali, almeno dalle conversazioni digitali. Dalla giovane torinese, quindici anni, l’imputato si è fatto spedire una foto in topless, così come dalla diciassettenne di Tezze, mentre dalla vicentina quindicenne voleva immagini esplicite e pure un incontro sessuale. La stessa condotta, sempre secondo le accuse, Mantoan l’ha avuta per farsi mandare foto proibite e ottenere un appuntamento per un rapporto dalla quattordicenne romana. Infine nei confronti della bassanese quindicenne c’è stato l’adescamento ma senza invii di materiale illegale da parte della ragazza. Quest’ultima è l’unica a essersi costituita parte civile ed è tutelata dall’avvocato bassanese Pierpaolo Simonetto. L’INDAGINE. L’attività illegale dell’imputato è stata ricostruita grazie a una consulenza tecnica disposta dalla Procura su pc e cellulare che gli sono stati sequestrati. Dalla perizia, in realtà, è emerso che Mantoan avrebbe cercato di contattare decine di altre giovani minorenni, molte delle quali vicentine, ma l’esperto non è riuscito a raccogliere materiale sufficiente per poter formulare altre accuse. Lo stratagemma era comunque sempre lo stesso: il 63enne si fingeva un giovane rampollo, un profilo di sicuro “appeal” agli occhi di ragazze di quell’età. E ha continuato a fare l’adescatore seriale per anni, “pescando a strascico” le sue vittime fino a quando gli investigatori hanno suonato al suo campanello, nel gennaio del 2015. IL PROCESSO. Concluse le indagini della polizia postale e della Procura, Massimo Mantoan è stato rinviato a giudizio in tribunale a Trieste. Il suo legale, l’avvocato Luigi Ravagnan, ha optato per il giudizio abbreviato, che si sta celebrando in questi mesi. I PRECEDENTI. Massimo Mantoan è una vecchia conoscenza della giustizia. Nel giugno 2016 è stato condannato dal Tribunale di Vicenza a 4 anni 8 mesi per la bancarotta fraudolenta di una società di cui era amministratore, venendo poi arrestato nel giugno del 2017 per scontare la pena, ma pochi mesi più tardi ha ottenuto i domiciliari per motivi di salute. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Davide Moro

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