Dopo un diverbio, lo avevano colpito con pugni e schiaffi, mentre era ubriaco. E poi, quando era tramortito a terra, lo avevano spostato oltre il muretto di cinta di un parcheggio, lontano dalla vista. Lakhwinder Singh, 37 anni, era morto qualche ora dopo, a causa di un ematoma in testa e dell’«azione tossica di metadone, cocaina e alcol». Era la notte fra il 25 e 26 gennaio scorso. Per quel delitto, che il pubblico ministero Parisi aveva ritenuto un omicidio preterintenzionale, il giudice Toniolo ha condannato - al termine del processo con rito abbreviato - i cittadini indiani, connazionali della vittima, Daljit Singh, 39 anni, e Ranjeet Singh, 33, entrambi residenti sulla carta ad Arzignano, i realtà senza una dimora stabile, a 8 anni di reclusione ciascuno. I due imputati, assistiti dagli avv. Cesare Vanzetti e Riccardo Favetta, dovranno risarcire con 200 mila euro ciascuno i genitori della vittima, Amrik Singh e Vimal Kaur; con 100 mila il fratello Mohinder; con mezzo milione la moglie Nirmal Kaur e la figlioletta, tutti assistiti dall’avv. Cristina Zappia, e pagare 6 mila euro di spese legali. Si tratta di cifre sulla carta: i due indiani non avrebbero proprietà o redditi.
Il dramma era avvenuto in un contesto di profondo degrado, fra alcol, droga e difficoltà a sfamarsi. Secondo quanto ricostruito dalla procura, che aveva coordinato le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo e della compagnia di Valdagno, che avevano arrestato i due imputati, gli aggressori avevano picchiato il connazionale - tutti e tre avevano bevuto - perché si era comprato una bottiglia di whisky e voleva bersela tutta da solo. E poi lo avevano lasciato agonizzante dietro ad un muretto in via Alberti, verso le 22, dove un passante lo aveva visto alle 23.26 e aveva dato l’allarme al 118. Singh era morto in ospedale all’1.34. Gli investigatori avevano recuperato due video dalle telecamere di una ditta della zona: in uno si vedevo i tre che camminano barcollando; nell’altro, la vittima che cadeva e gli altri due che si muovevano in maniera convulsa verso di lui, forse colpendolo; ma la scena era coperta dal muretto. Quando erano stati interrogati, i Singh (che vivevano in un furgone, dopo aver perso il lavoro) si erano difesi assicurando che la vittima era caduta da sola, ma che non ricordavano molto perché avevano bevuto.
E l’alcol è stato il minimo comune denominatore del dramma. I tre indiani, che vivevano di espedienti (la vittima era stata visto spesso in zona fare l’elemosina), condivano le loro giornate con bottiglie di vino e superalcolici per scaldarsi. Anche Lakhwinder, nonostante avesse una famiglia e sulla carta una casa ad Arzignano, anche se era stato cancellato dall’anagrafe. È morto per i pugni, e la caduta in terra, dopo una baruffa per la bottiglia di whisky.