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Longare

Trent’anni fa a Longare l’arresto di Madonia, il numero due di Cosa Nostra

La polizia fermò la Mercedes a Ponte di Costozza, fece uscire gli occupanti e li fece stendere a terra. Fra di loro c’era anche Giuseppe Madonia: aveva 46 anni ed era il numero due di Cosa Nostra. Era latitante da 9 anni ed aveva deciso di nascondersi da alcuni parenti alle porte di Vicenza. La sua cattura segnò la riscossa dello Stato contro la mafia, che pochi mesi prima aveva ucciso Giovanni Falcone e la moglie e poi Paolo Borsellino con le loro scorte. 

Era la mattina del 6 settembre 1992: oggi, trent’anni dopo, la mafia non è stata sconfitta ma è una realtà criminale che si conosce meglio di allora. In trent’anni tantissime indagini hanno consentito di arrestarne vertici e affiliati, ma la battaglia contro la criminalità organizzata è ancora lunga e complessa.

Nel 1992 a Vicenza la parola mafia non si conosceva. Furono gli agenti del prefetto Achille Serra, all’epoca capo del Servizio centrale operativo della polizia di Roma, con i dirigenti Antonio Manganelli e Gilberto Caldarozzi, a ricevere la soffiata giusta. Era di un pentito (a proposito della loro utilità nelle indagini sulla criminalità organizzata), che aveva spiegato che Madonia sarebbe stato in Veneto fino al 6 settembre, fornendo un cellulare e un generico legame con una «galleria». La dritta era precisa, la fonte ritenuta affidale: bisognava fare presto. I cadaveri di uomini valorosi, che avevano sacrificato la vita per la legalità e per lo Stato, uccisi dalla mafia, meritavano risposte immediate. Il clima, nel Paese, era pesante: si stava aprendo la stagione di Tangentopoli e Cosa Nostra aveva dichiarato una guerra senza esclusione di colpi.
Dallo Sco fu contattato Piernicola Silvis, capo della squadra mobile vicentina, che poi sulla cattura di Madonia scriverà un romanzo di successo. Il telefonino intercettato - all’epoca la tecnologia non era certo precisa come oggi - lo dava nel Vicentino. Iniziarono giorni di indagini e ricerche a tutto campo: la notizia era segretissima, ma al tempo stesso servivano le migliori energie. Da un’idea dell’ispettore Annarumma si giunse ad un lontano parente di Madonia, che abitava a Costozza. Lo si controllò per un paio di giorni e alla fine si decise di procedere, mantenendo strettissimi contatti con Roma.

La certezza che il siciliano individuato fosse il boss non ce l’aveva nessuno (l’ultima foto segnaletica era di 10 anni prima), e arrivò solo con l’ammissione del diretto interessato. Che quel giorno fu portato in carcere, da dove non è mai uscito: è stato condannato in via definitiva all’ergastolo, ritenuto colpevole fra l’altro delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Madonia fece uccidere Falcone, che nel 1983 aveva spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti, dopo il quale il boss si era dato alla macchia. Una condizione che non gli aveva impedito di continuare a tessere le fila di un’organizzazione senza scrupoli.
La notizia dell’arresto del criminale, all’epoca, fece scalpore. E segnò una svolta, non solo nella lotta alla criminalità organizzata, con lo Stato che rialzava la testa, ma anche all’interno delle stesse mafie. Una storia che si è scritta anche a Costozza, e che trent’anni dopo deve far capire come tenere alta l’attenzione su infiltrazioni e presenze mafiose sia prima di tutto un dovere. 

Diego Neri

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