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La vittoria di Lepanto celebrata a Noventa

Il dipinto dedicato alla battaglia di Lepanto che si trova nella villa Barbarigo a Noventa VicentinaSul lato destro della Loggia del Capitaniato a Vicenza c’è un arco celebrativo della battagliaL’allora sindaco Gianni Galuppo, Gian Antonio Cibotto e (in piedi) Vittorio SgarbiIl convegno celebrativo. Da sinistra: Loredana Losa, Silvia Colla, Filippa Galiberti, Michelangelo Muraro
Il dipinto dedicato alla battaglia di Lepanto che si trova nella villa Barbarigo a Noventa VicentinaSul lato destro della Loggia del Capitaniato a Vicenza c’è un arco celebrativo della battagliaL’allora sindaco Gianni Galuppo, Gian Antonio Cibotto e (in piedi) Vittorio SgarbiIl convegno celebrativo. Da sinistra: Loredana Losa, Silvia Colla, Filippa Galiberti, Michelangelo Muraro
Il dipinto dedicato alla battaglia di Lepanto che si trova nella villa Barbarigo a Noventa VicentinaSul lato destro della Loggia del Capitaniato a Vicenza c’è un arco celebrativo della battagliaL’allora sindaco Gianni Galuppo, Gian Antonio Cibotto e (in piedi) Vittorio SgarbiIl convegno celebrativo. Da sinistra: Loredana Losa, Silvia Colla, Filippa Galiberti, Michelangelo Muraro
Il dipinto dedicato alla battaglia di Lepanto che si trova nella villa Barbarigo a Noventa VicentinaSul lato destro della Loggia del Capitaniato a Vicenza c’è un arco celebrativo della battagliaL’allora sindaco Gianni Galuppo, Gian Antonio Cibotto e (in piedi) Vittorio SgarbiIl convegno celebrativo. Da sinistra: Loredana Losa, Silvia Colla, Filippa Galiberti, Michelangelo Muraro

All’imboccatura del golfo di Corinto, dove si incontrano le acque dello Ionio e dell’Egeo, nell’ottobre del 1571 avvenne una battaglia navale il cui ricordo oscilla tra storia, mito e religiosità. La battaglia di Lepanto, fondamentale per fermare l’avanzata dei musulmani in Europa. Fu una durissima battaglia combattuta senza esclusioni di colpi, simbolo dello scontrarsi di due mondi, due civiltà, due modelli religiosi e politici. Tra i protagonisti di quella battaglia ci furono molti nobili veneziani, tra i quali tre esponenti della famiglia dei Barbarigo: Agostino Barbarigo, comandante dell’ala sinistra della flotta veneziana, Andrea e Giorgio Barbarigo comandanti di due galee della Serenissima. I fasti di quello storico scontro sono stati celebrati dalla famiglia veneziana nella loro villa di Noventa Vicentina, l’attuale municipio. I potenti nobili Barbarigo iniziarono ad acquistare terre a Noventa alla fine del Quattrocento. Il maestoso palazzo venne edificato tra il 1588 e il 1622, impreziosito da stupendi affreschi di Antonio Foler, Antonio Vassillacchi detto l’Aliense e Luca Ferrari da Reggio. Nel vastissimo ciclo di allegorie si celebrano le glorie e gli splendori della famiglia. E non poteva mancare, ovviamente, la rievocazione della battaglia di Lepanto, una serie di maestosi affreschi tra le pareti della sala maggiore del primo piano. Nella principale scena raffigurata si vede la galea di Agostino Barbarigo in secondo piano, sullo sfondo le navi si scontrano tumultuosamente. Il mare è gremito di cadaveri, lingue di fuoco e di fumo si levano dalle navi, ma il cielo è azzurro e tutta la scena è luminosa. Agostino Barbarigo nella battaglia di Lepanto venne trafitto da una freccia all’occhio sinistro e morì in seguito alle conseguenze della ferita. Il dipinto successivo immagina la scena, con dotti medici che tentano di guarire il comandante e soldati in attesa del miracolo. Tutti i dipinti della villa di Noventa vennero restaurati tra il 1953 e il 1957, ma il loro ripristino rimase incompleto a causa della mancanza di fondi. Molti anni dopo, nel 1984, grazie all’amministrazione del sindaco Gianni Galuppo, vennero presentati al pubblico in un convegno con lo scrittore Gian Antonio Cibotto e nel quale il prof. Michelangelo Muraro portò un giovane e brillante critico d’arte: Vittorio Sgarbi. La sua lezione sugli affreschi di villa Barbarigo incantò per stile, passione e competenza, oltre che per il suo dinamismo verbale, dote che avrebbe perfezionato nel tempo. Con l’occasione venne dato alle stampe un artistico volume curato da Michelangelo Muraro, Silvia Colla e Loredana Losa. Ma torniamo alla storica battaglia. Per la Lega cristiana la città di Vicenza offrì 12.000 ducati, il suo vescovo mille e il collegio dei Nodari 4.000. Molti vicentini si arruolarono, il conte Ottavio Thiene mise a disposizione mille fanti, il conte Ippolito Porto 200 cavalli e 100 fanti, il capitano Celso de Negri fu inviato con numerosi fanti in Dalmazia per fronteggiare le scorrerie dei turchi. Nelle galee veneziane troviamo ancora numerosi protagonisti vicentini. Il conte Lodovico Porto comandava la nave “La Torre di Vicenza” e tra gli ufficiali c’erano, come ci ricorda il Castellini, Fabio e Girolamo Zoiano, Orazio Sorio, Valerio Chiericati, il conte Antonio Thiene, Francesco Moretto, Pietro Mastello. In battaglia morì anche il capitano vicentino Giacomo Trissino, il quale era vicecomandante della galea soprannominata “L’uomo marino di Vicenza”, e fu tra i primi ad attaccare il nemico. Alla notizia della vittoria a Venezia e in tutta la Serenissima vennero organizzati grandi festeggiamenti. A Vicenza come tributo venne realizzato, per ordine del capitanio Giovan Battista Bernardo, un arco di trionfo celebrativo sul lato destro della Loggia del Capitaniato, quello che si affaccia su contra’ del Monte, la via principale d'accesso alla piazza dei Signori. Di quell’evento storico rimangono due tradizioni ancora molto presenti. La ricorrenza della Madonna del Rosario, festa istituita da Papa Pio V per sottolineare la potenza della preghiera mariana, solennità che i vicentini onoravano, e celebrano ancora, con un piatto tipico: i “bigoli co l’arna”. Protagonista l’anatra novella, volatile bello e pronto ai primi di ottobre, accostato con la pasta fresca “fatta in casa”. Un’ultima curiosità: tra gli illustri combattenti che si distinsero a Lepanto c’era anche Miguel de Cervantes, l’autore delle avventure di Don Chisciotte, che a 24 anni si imbarcò sulla galea spagnola Marquesa, riportando gravi ferite per un colpo di archibugio che gli fece perdere l’uso della mano sinistra. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Emilio Garon

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