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Basso Vicentino

La scelta di Manuel: «Via dall’azienda per fare il pastore»

Anche i pastori piangono, solo che non lo mostrano». Accade quando i prati scarseggiano e il gregge langue. Sentimenti ancestrali, lontanissimi dalla nostra modernità. Così stupisce se un giovane pastore di 24 anni, il più giovane del Veneto con pecore di proprietà, confessi di commuoversi per le sue pecore. Quella di Manuel Carotta, di Pedemonte, ora con il gregge nel Basso Vicentino, è una storia che poteva essere simile a quella di tanti suoi coetanei: scuola, diploma al Cfp dei Salesiani di Schio, morosa e lavoro fisso in fabbrica. Manuel invece ha fatto di testa sua, seguendo un istinto “primordiale” e un affetto verso le pecore. «Le me piaxe, e basta», sintetizza lui. Un giovane che si dichiara convinto, ma soprattutto felice per ciò che fa. «La mia felicità è vedere le pecore pascolare bene, sapendo che domani troverò un campo dove condurle». Chiamiamolo allora “amore”, senza esagerazione, quello di Manuel per le sue pecore. «Fino a qualche mese fa dicevano che fossi il più giovane pastore sulla piazza». Oggi invece il primato è passato al suo allievo Elai Cerra, 18 anni della Valsugana, che però non ha ancora un gregge tutto suo.
Se Manuel è un pastore vero e proprio, agli occhi del mondo questa sua scelta è un’utopia al limite della pazzia. «Un po’ matto devi esserlo, se scegli di fare una scelta come la mia», risponde lui. La prova è che nei pascoli di giovani pastori non se ne scorgono più, e i motivi sono facili da immaginare. Manuel “rema contro” e lo fa da quando è diventato maggiorenne, sei anni fa, quando conclusa la scuola superiore, il padre lo voleva alla guida dell’azienda di famiglia. A Manuel però non bastavano gli alpeggi estivi dove vigilava sulle vacche. Sognava delle pecore tutte sue e il mestiere del pastore. La madre Renata nel tentativo di farlo desistere, gli garantì un posto fisso in fabbrica, mentre il padre Stefano gli disse: «Se compri le pecore, esci di casa!». E lui è uscito di casa, e da allora vi fa sporadico ritorno. «Era il 28 settembre 2018, quando comprai le prime otto pecore e cinque capre, lavorando inizialmente per un pastore. Oggi che di pecore ne ho comprate quattrocento, papà non sembra essersi ancora rassegnato». A fargli gioco, un’innata semplicità e simpatia che gli toglie l’aria rude e scontrosa, tipica dei pastori di un tempo. «C’è chi fa il pastore esclusivamente per i soldi. E chi come me, diventa pastore perché ama gli animali. I “schei” fanno comodo, ma il pastore non lo fai solo per questo. “Par i schei col peo, non me agito, par la pasion sì!”». Ci sono poi i cani. «Cani di razza belga che rappresentano un binomio inscindibile, vivendo, mangiando (unicamente carne cruda e mai crocchette) e dormendo sotto le stelle sempre al nostro fianco, diventando la materializzazione dei nostri pensieri per il controllo e la gestione del gregge». E chi pensa che fare il pastore, oggi, sia una fuga totale dal mondo, dovrà forse ricredersi. «Ho un cellulare, un profilo Facebook, Whatsapp e Instagram per mantenere i contatti con amici e altri pastori. Ma non c’è margine per organizzare fine settimana o una serata al cinema. Le pecore non vanno in ferie, e io non ne sento la necessità, solo perché amo ciò che faccio».
Manuel, come tutti, insegue la sua strada per essere felice. Ma qual è la felicità di un pastore? «Un pastore è contento quando pensa all’erba fresca, ai prati dove condurre le pecore e alla loro salute». E il futuro? «Me lo chiedono in tanti come vedo il mio futuro? “Da pastore!” gli rispondo. Questo perché le cose non vanno male. Oggi la pastorizia non produce più lana, ed è per noi un costo smaltirla. Il mercato della carne ovina, richiesta molto dai musulmani, da qualche anno ci sta ridando dignità e speranza. Il mio desiderio è ingrandire il gregge».

 

Antonio Gregolin

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