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Barbarano, i poveri e le lettere al Duce

La casa del fascio di Barbarano nel 1935. In quegli anni erano molti i cittadini che scrivevano al Duce per supplicarlo ad aiutarli. Numerose  infatti erano le famiglie povere con tanti figli che faticavano ad andare avanti.Una famiglia di Barbarano nel 1938. Sullo  sfondo la casa di legno dove il nucleo vivevaUna veduta della piazza di Barbarano (la fusione con Mossano era ancora lontana) nel 1935La festa dei coscritti, quando ancora tale ricorrenza era molto sentita, nel 1939
La casa del fascio di Barbarano nel 1935. In quegli anni erano molti i cittadini che scrivevano al Duce per supplicarlo ad aiutarli. Numerose infatti erano le famiglie povere con tanti figli che faticavano ad andare avanti.Una famiglia di Barbarano nel 1938. Sullo sfondo la casa di legno dove il nucleo vivevaUna veduta della piazza di Barbarano (la fusione con Mossano era ancora lontana) nel 1935La festa dei coscritti, quando ancora tale ricorrenza era molto sentita, nel 1939
La casa del fascio di Barbarano nel 1935. In quegli anni erano molti i cittadini che scrivevano al Duce per supplicarlo ad aiutarli. Numerose  infatti erano le famiglie povere con tanti figli che faticavano ad andare avanti.Una famiglia di Barbarano nel 1938. Sullo  sfondo la casa di legno dove il nucleo vivevaUna veduta della piazza di Barbarano (la fusione con Mossano era ancora lontana) nel 1935La festa dei coscritti, quando ancora tale ricorrenza era molto sentita, nel 1939
La casa del fascio di Barbarano nel 1935. In quegli anni erano molti i cittadini che scrivevano al Duce per supplicarlo ad aiutarli. Numerose infatti erano le famiglie povere con tanti figli che faticavano ad andare avanti.Una famiglia di Barbarano nel 1938. Sullo sfondo la casa di legno dove il nucleo vivevaUna veduta della piazza di Barbarano (la fusione con Mossano era ancora lontana) nel 1935La festa dei coscritti, quando ancora tale ricorrenza era molto sentita, nel 1939

Non è passato neppure un secolo quando in questa terra dominavano povertà ed emarginazione, soprattutto a causa delle folli manie di grandezza di un dittatore e dei suoi gerarchi, delle costose guerre coloniali e delle sanzioni. Spinta dalla necessità, dalla fame, dalla disperazione, la gente negli anni Trenta si rivolgeva al duce, unico riferimento nella demagogia populista, e questo diventò un vero e proprio fenomeno che contagiò città e paesi. Le lettere non arrivavano mai a destinazione, da Roma venivano inviate alle prefetture provinciali e quindi ritornate ai sindaci per gli eventuali interventi. Nell’archivio del Comune di Barbarano ci sono circa un centinaio di quelle disperate suppliche (per correttezza sono stati omessi i cognomi); si tratta di testi semplici, sgrammaticati, a volte venivano scritti dal prete o dal maestro, sempre a penna, raramente a macchina. Allora, nel 1935, a Barbarano erano ben 197 le famiglie iscritte all’elenco dei poveri, circa mille persone, oltre un terzo della popolazione. Ci si rivolge al “Duce!”, con il punto esclamativo come la propaganda imponeva, oppure a “Sua Eccellenza” (con le varianti Celensa, Eccelensa, etc) oppure al “Capo del Governo”, destinazione: Roma. Era soprattutto la fame che spingeva la gente alle istanze; scrive Girolamo T. il 23 gennaio 1939: “... sono padre di 8 figli tutti al dissotto dei 14 anni. Sono nullatenente e disoccupato, non so più cosa fare per dare il vitto ai miei figli che patiscono la fame ...”. Si firma “ l’umile massaia rurale” Linda G. :”.. . conoscendo la vostra generosità verso i figli della vostra terra, mi faccio corraggio ...Sono una mamma di otto figli ... chiedo la clemenza vostra per una piccola elemosina ...”. Con le richieste di aiuto non mancavano le denunce, come scrive Teresa S. nel 1935: “ Sono madre del soldato A.S. che trovasi volontario in Africa per difendere la nostra Patria. Sono stata scacciata di casa dal padrone, pur avendo pagato fino all’ultimo centesimo, ... non ha avuto pietà, ha fatto buttar fuori la roba dagli uscieri, mettendo su una strada una famiglia ....”. A volte erano i bambini che scrivevano, come Maria Z. della 3^ classe di Ponte di Barbarano: “ La mia maestra sempre mi dice che il Duce vuole tanto bene ai bimbi d’Italia ...La mia padrona di casa ha ordinato all’usciere di cacciarci di casa e mettere sotto sequestro i nostri poveri indumenti, anche le nostre cartelle. Ora siamo ricoverati in una stalla e siamo in sette fratelli, la maggiore di 14 anni, il minore di due....” “Caro Duce che ci vuoi tanto bene ai bambini e aiuti le familie povere - scrive Dario D.G. il 7 giugno 1938 - siamo sensa casa e abiamo anche poco da mangiare. Io vado a scuola che o ancora fame ma non ce lo dico alla mamma se no piange. La mia parte di polenta la do ai miei fratelini che sono più piccoli ... Caro Duce ricordati anche di me che sarò il soldatino per la Patria di domani”. Curioso, ma pur sempre tragico, il caso di Giuseppe M., abbandonato alla nascita, che si rivolge a sua Ecelenza il Capo del Governo: “ Il stoscrito .. chiede di poter rintraciare il nome e cognome e il luogo della madre ... Sicome si supone sia una ricca signora, se questa madre fosse ritrovata potrebbe dare del denaro per il suo figlio abandonato alla infansia ...” Il destino delle ragazze, per tradizione e necessità, era nel matrimonio; ma anche questo era spesso un problema: la povertà e la miseria non concedevano possibilità di una dote, necessaria anche se modesta. Ecco allora che il sogno della propria vita viene messo nelle mani del duce. “Siamo cuatro sorelle orfane di padre - scrive al Duce d’Italia e sua Signora la giovane Vittoria C. di Ponte di Barbarano nell’ottobre del 1939 - non ho altre persone, Iddio mi ha rapito il mio padre terreno, duncue teniamo il nostro Duce come il nostro padre ... Noi due più vecchie è già la tersa volta che ci avviciniamo alle nosse ma non abbiamo il corredo. ... Lavoriamo nei campi, la stagione cuest’anno (è) un po critica ... si imagini cuanti avanzi faciamo per il corredo ... Ci mettiamo nelle mani di Lei buona Signora e cuelle del nostro Duce ... per compiere la nostra missione di madri degne dell’Italia Imperiale.” Mussolini stava preparando una tragedia ancora più grande, non aveva tempo per dare da mangiare alla gente d’Italia. Le lettere venivano rispedite ai comuni i quali, alle prese con bilanci sempre magri, raramente riuscivano a dare qualche sussidio. Queste lettere sono a modo loro pagine di storia, quella piccola storia umana fatta di sacrifici che fa parte, volenti o no, della cultura di questo nord-est che ha saputo trovare il modo di progredire, ma che oggi non sa o non vuole trovare spazio per quei sentimenti di solidarietà che sono stati alla base della sua crescita. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Emilio Garon

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