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L'ALBUM/2

La scrittura è l'umiltà di chi con tre parole genera emozioni

Mario Rigoni Stern davanti alla sua casa in val Giardini, Asiago
Mario Rigoni Stern davanti alla sua casa in val Giardini, Asiago
Mario Rigoni Stern davanti alla sua casa in val Giardini, Asiago
Mario Rigoni Stern davanti alla sua casa in val Giardini, Asiago

Difficile raccontare un innamoramento letterario: rischi di banalizzare, restituendo un'immagine insipida di qualcosa che dentro di te continua a vivere e ad acquistare sapore a dispetto degli anni che passano. Però l'amore per un libro trae forza anche dalla sua tradizione, dal tentativo cioè di fare innamorare altri di quelle pagine che a noi hanno dato tanto. E così, da innamorato dei libri di Mario Rigoni Stern, corro il rischio, e cerco di raccontarvi il mio incontro con lui e le sue pagine.Credo che il mio percorso di avvicinamento a questo grande autore abbia almeno tre sentieri. Il primo, ovvio, mi vede in veste di lettore. Da piccolo leggevo, sì, ma non così tanto: amavo l'avventura, classici come Stevenson, London, Salgari. Li leggevo in edizioni per ragazzi, con grandi illustrazioni, che a volte correvo in avanti a cercare, saltando intere pagine. Un giorno però, credo in quarta ginnasio, mio padre prese un libro dai "suoi" scaffali, e me lo consegnò. Era "Il bosco degli urogalli". Quel libro segnò un passaggio. Mentre lo leggevo, e mi addentravo in un mondo del tutto sconosciuto, percepivo che quel libro era "altra cosa" dal Corsaro Nero o dall'Isola del tesoro. Vibrava più a fondo, toccava corde fino a quel momento mute. Ricordo come mi sentivo, steso sul letto, mentre leggevo le descrizioni del bosco. Il rapporto tra il cacciatore e il suo cane. La neve. Erano cose tutto sommato vicine, non erano ambientazioni esotiche, però... Però brillavano, mostravano dentro di sé, in tutta la loro semplicità, la luce della vita, l'universalità dell'esperienza umana. Queste cose le ho realizzate con gli anni. All'epoca, quando finii di leggere per la prima volta quel libro, sentii che non avevo concluso un viaggio, ma ne avevo soltanto intrapreso la prima tappa.Il secondo "sentiero" mi vede nella veste di insegnante, e non riguarda i libri, ma proprio lui, Rigoni Stern in carne ed ossa. Una premessa: chi insegna sa che ci sono dei contesti nei quali non è facile tenere la classe. In aula ci si riesce (spesso). Ma nelle conferenze? O peggio, a teatro? Lì puoi soltanto fare le tue raccomandazioni, e poi raccomandarti l'anima a Dio. Bene. Nel 2005 insegnavo al liceo Levi di Montebelluna. Nello stesso anno quel comune trevigiano conferì a Mario Rigoni Stern la cittadinanza onoraria e, tra i diversi eventi, ci fu anche un incontro dello scrittore con gli studenti. Vista l'adesione massiccia, l'incontro si tenne in un palazzetto dello sport. Gradinate stracolme. Studenti di ogni età. Audio non ottimo, con un rimbombo fastidioso quando gli oratori parlavano al microfono. Se si tiene conto, oltre a ciò, che Rigoni Stern aveva 84 anni, si capirà con quale trepidazione attendevo che prendesse la parola... Lo avrebbero ascoltato? Ci sarebbe stato silenzio a sufficienza? E se, ancora peggio, uno dei moderatori fosse stato obbligato a interrompere lo scrittore per imporre un po' di silenzio alla platea?Arrivò il momento. Ricordo che mi resi conto di avere la pelle d'oca: non volava una mosca. Quell'uomo ultraottantenne, con la sua pacatezza, con la sua quieta semplicità, aveva preso per mano centinaia di studenti, e li aveva ammaliati. Fu bellissimo, e fu, oltre al resto, la dimostrazione che la distanza anagrafica non è sinonimo di incomunicabilità, e che i ragazzi, se vogliono, sanno riconoscere il valore di chi si trovano di fronte. Il terzo sentiero è quello che continuo a percorrere come scrittore. Il mio primo libro, "Sul Grappa dopo la vittoria", nacque per caso, come passatempo dopo le prime camminate lungo le trincee del Grappa. Mentre lo scrivevo, mi divertii parecchio a calcare le orme (come mero imitatore, non certo emulatore) dei miei modelli letterari più cari. Impastai assieme parecchio Meneghello, e una vagonata di Rigoni Stern. Lì si respira molto de "L'anno della vittoria"; in altri romanzi, e ancora in quello che sto scrivendo adesso, riecheggia senz'altro il libro che ho amato di più dello scrittore di Asiago, "Storia di Tönle", che rileggo in media una volta all'anno, e che ha diritto di cittadinanza permanente sul mio comodino.Del suo stile ammiro la capacità di costruire emozioni profonde con pochi tratti di penna. Di usare il paesaggio, descritto con essenzialità e senza sbavature, come amplificatore delle emozioni dei protagonisti. In un'epoca in cui si parla e si scrive molto (forse troppo), e spesso a sproposito, amo la sua scrittura densa, adamantina: dura e chiara. Del suo essere scrittore ammiro (e cerco con tutte le forze di imitare) l'umiltà familiare. Il mondo della scrittura è spesso un mondo narcisistico, in cui si rischia di scrivere per sé più che per gli altri, in cui si confonde la bellezza di una storia da raccontare con l'inutile complessità di chiusi intellettualismi. Ecco, credo (spero) che Mario Rigoni Stern continui a guidarci verso una prospettiva etica, o semplicemente buona, della letteratura. Ne abbiamo grande bisogno.

Paolo Malaguti

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