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L’ALBUM/4

Ci ha insegnato che negli alberi abita la salvezza dell’uomo

Gli alberi grande fonte di ispirazione per Rigoni Stern
Gli alberi grande fonte di ispirazione per Rigoni Stern
Gli alberi grande fonte di ispirazione per Rigoni Stern
Gli alberi grande fonte di ispirazione per Rigoni Stern

C'è un piccolo libro incantevole che Mario Rigoni Stern scrive nel 1991, quasi quarant'anni dopo Il sergente nella neve. A scuola non lo si legge molto, perché non ha una trama gagliarda che incanti l'attenzione dei nostri studenti, anzi, sembra un poco un libro di frammenti, frammenti botanici, si può dire? Venti piccoli racconti di alberi, i suoi alberi. E' Arboreto salvatico, e già il titolo chiede una spiegazione. Arboreto è termine botanico, tecnico. Dice un'intenzione dell'uomo. L'arboreto è un complesso non casuale di alberi, una raccolta che si mette insieme per passione, per lavoro, o perché la storia personale ha allineato proprio quegli alberi a definire la nostra vita. L'arboreto ha uno scopo, non è solo sentimentale trasporto per la natura. Quanto a salvatico, lo dice lo stesso Mario Rigoni Stern, è un termine che lui ha preferito al più comune selvatico perché ha assonanza con salvezza, con l'arte di mettere al riparo la nostra vita dai pericoli. Una natura che se si conosce, raccoglie e osserva può essere salvezza per l'uomo che ne fa parte.Gli alberi di Arboreto salvatico sono quelli che Mario Rigoni Stern ha piantato intorno alla sua casa dell'altipiano. Non è stato semplice. Proprio lì in un bosco antico gli austriaci avevano nascosta durante la Grande guerra una batteria di sei obici da dieci e poi, "nell'estate del 1918 un fuoco di controbatteria aveva distrutto obici alberi e uomini". Forse avevano sparato anche con il gas e niente sembrava poter ricrescere: "Dovetti lavorare molto per spianare il terreno, levare ceppi, reticolati, cespugli. Dalla terra appena smossa uscivano pezzi di granate, palle di piombo, cartucce. Anche ossa". Mostruoso potere di una guerra che si allunga nel tempo come un incubo senza risveglio.Ma c'è un bambino e quando c'è un bambino si può ricominciare. Un giorno d'autunno Mario Rigoni Stern passeggia con suo figlio in montagna e raccoglie un pino silvestre di pochi centimetri e prova a piantarlo proprio in quel terreno, con lo stesso orientamento del luogo in cui era nato. Poi raccolgono delle piccole betulle: "le riposi con un po' di terra umifera attorno alle radici, vicino al pino silvestre, a ragionevole distanza: Faranno un bel vedere così accostate al pino. Loro chiare e gentili accanto al pino scuro e rude, - dissi a mio figlio."Ecco, ogni albero ha una storia che intreccia la storia personale di chi lo pianta e coltiva, ma anche si allarga alla Grande Storia, al mito, alle religioni, alla poesia, alla letteratura. Come immaginare la vita dell'uomo senza la natura? Prendiamo il ciliegio, l'ultimo degli alberi dell'Arboreto. E' il racconto di una neve di primavera, che sorprende tre ciliegi, sono tre, proprio mentre stanno aprendo le corolle. L'autore capisce che è nevicato mentre ancora è a letto. Sente un "differente silenzio", vede un "differente riflesso". Si dispiace. Sente con i sensi degli alberi, e pensa ad altri ciliegi, quelli attorno a Marostica, "le onde bianche di ciliegi in fiore che ai piedi delle mie montagne aspettavano insetti pronubi o un leggero zeffiro, ma non la neve e il vento del Nord". E ricorda che anche nella steppa, durante la campagna di Russia, sognava le ciliegie, anche nel campo di concentramento. E ancora le ciliegie lo portano alla sua lettura da adolescente del Giardino dei ciliegi di Cechov. E alle ciliegie selvatiche con cui saziava la sua fame in Val D'Aosta nel giugno del 1940, alla viglia della guerra, e poi ancora in un'isba sulla riva del Don, ciliegie secche che bollite nell'acqua di neve gli hanno dato "un senso di primavera in quel gelo fossile". E poi si squaderna davanti a noi la storia naturale del ciliegio, originario dell'Asia, venerato in Giappone dove le "bianche nuvole di petali rappresentano la felicità effimera ma anche la beatitudine eterna". E ne parla Erodoto e poi ancora Plinio che racconta come quel buongustaio di Lucullo di ritorno dalla guerra contro Mitridate abbia portato a Roma le ciliegie aproniane, le nostre marasche e poi ancora e ancora. E c'è sempre, per ogni albero e anche per il ciliegio, il suo profilo botanico. In questo caso il genere è Prunus e conta più o meno duecento specie. Ma, scrive Mario Rigoni Stern, è dal Prunus avium L. che derivano le nostre numerose cultivar che producono i frutti che conosciamo. Avium da Avis, uccello in latino, "perché quasi tutti gli uccelli sono ghiotti delle sue drupe e anche perché è da loro che viene disseminato su larghe aree". Così il ciliegio nasce spontaneo, diventa un piccolo alberello grazioso e poi darà frutti golosi, irresistibili, uno tira l'altro, e legno, legno "meraviglioso, colore rosato, lucido, elastico e particolarmente adatto per i lavori dei bravi artigiani falegnami (come sono belle le rustiche credenze di ciliegio!)."Un mare di scienza e di poesia. Anche se alla fine arriva un mare di malinconia. Il ricordo di un ciliegio sopravvissuto alla Grande guerra, "tutto contorto, scorticato, pieno di schegge di granata e di pallottole, eppure fruttifero ancora", ma che presto sarà tagliato perché al suo posto costruiranno un condominio per villeggianti, persone che vengono un momento, usano il luogo, non lo conoscono, e poi lo abbandonano. Non lo dice così Mario Rigoni Stern. E' un poeta e lo dice molto meglio: "Con lui se ne andrà un pezzo di storia della nostra giovinezza". Vita personale e storia del mondo intero. Proprio come capita nel Giardino dei ciliegi, dove Ljubov' Andreevna, dopo aver dovuto vendere il giardino agli speculatori, abbraccia il fratello e mormora: "Mio caro, dolce, meraviglioso giardino... Vita mia, giovinezza mia, felicità mia. Addio! ... Addio". E' solo uno dei venti alberi di questo libro pieno di amore, competenza, scienza, malinconia. Poi ci sono il faggio, l'abete, il pino, il tasso, il frassino, il castagno... Così immobili con le radici sprofondate nella terra, eppure quanto ci fanno viaggiare. Nel tempo, nello spazio, nello spirito.

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Mariapia Veladiano

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