<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
TEATRO

I suoni sanno di sogni nell’“Amore” di Delbono

Applausi al Remondini di Bassano per uno spettacolo sospeso tra Bene e Dalì
Suoni e atmosfere: di questo si nutre il teatro di Pippo Delbono applaudito al Remondini di Bassano FOTO G. CECCONSogni e narrazione  dal Portogallo al cuore del Mediterraneo G. CECCON
Suoni e atmosfere: di questo si nutre il teatro di Pippo Delbono applaudito al Remondini di Bassano FOTO G. CECCONSogni e narrazione dal Portogallo al cuore del Mediterraneo G. CECCON
Operaestate 2022 - Del Bono

È un teatro di suoni e atmosfere, quello di Pippo Delbono applaudito martedì sera al Remondini di Bassano. Suoni che sanno di sogni, su un palcoscenico essenziale e grazie a una narrazione destrutturata e ricomposta. Si sta tra Carmelo Bene e Salvador Dalì, volendo tenere a battesimo con due antecedenti illustri uno dei migliori debutti che Operaestate abbia mai registrato. Il 63enne Delbono, a Bassano non era mai transitato, ma la qualità del suo “Amore”, “canto errante” per definizione dello stesso autore, è valsa l’attesa. E per quanto riguarda la capacità di spostare in avanti le frontiere dell’avanguardia, Delbono, uomo maturo, ancora oggi dà la polvere a tanti giovanotti blasonati. Questo, conservando un rispetto per attori e pubblico che ha mandato in visibilio gli oltre 200 in platea al Remondini. Tutti addetti ai lavori o comunque cultori della materia di lungo corso, perché lo spettacolo di due sere fa non è stato certo “pop”. O, meglio, ha utilizzato elementi come il canto popolare come tessere di una narrazione complessa, evocativa e non descrittiva. Da gustare alla fine, sul calo del sipario, ben sapendo che “il vero è l’intero”. Questo è Pippo Delbono e tra i numerosi meriti del suo fare teatro c’è la capacità di andare in controtendenza in un mondo che, appiattendo, semplifica. “Amore” visto al Remondini, invece, analizza, scende nelle sfumature, rende conto di una realtà articolata e invita a pensare quanto il sentimento per eccellenza possa essere allo stesso tempo “crudele come la memoria, tenero come il ricordo”. Questo, lo si racconti in italiano, nel portoghese che accompagna i segmenti dedicati al Fado, oppure in Kimbundu, lingua dell’Angola nella quale la brava Aline Frazao canta uno dei pochi brani d’amore della propria terra d’origine. E lo sguardo al Portogallo, alla sua musica per eccellenza, pare surreale ma regala quel velo di malinconia sul quale la voce di Delbono può distendersi trasformandosi in poesia. Questo, mentre Pedro Joia alla chitarra e Miguel Ramos alla voce cantano storie che raccontano il dolore dell’addio, ma anche le passioni nella fase più accesa. Poi, arriva una danza animata da Grazia Spinella e, all'improvviso, la festa dei morti messicana che prende corpo sul palco tra maracas e sombrero. Anche qui, non ha senso provare a capire: sarebbe come mettere il recinto a un sogno. Si tratta, invece, di ascoltare e di sentire, lasciandosi guidare ora dalla voce, ora dalla musica, ora dalle immagini in proiezione come il getto di lava che apre il finale. E, sul finale, ecco Pippo Delbono che entra in sala, spiega di "non essere solo una voce” e racconta la genesi dello spettacolo. Colpa di un lutto e merito del lockdown che ha costretto la compagnia a un lungo soggiorno non preventivato a Catania. Lì, nel cuore del Mediterraneo, Delbono ha respirato la storia millenaria del nostro Mezzogiorno e quell’intreccio di amore e morte che dai Greci al medioevo al barocco attraversa la nostra storia dell’arte e, di riflesso, il nostro immaginario. Ne è uscito un lavoro maiuscolo, difficile da incasellare in una categoria, ma per questo ancor più affascinante e meritevole di applausi. •.

Lorenzo Parolin

Suggerimenti