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SCINTILLE INDIANE SUL KASHMIR

I poliziotti indiani preparano una barriera per prevenire i disordini durante l’annunciata manifestazione di protesta dopo l’attentato contro il convoglio militare nel Kashmir, ai confini tra India e Pakistan. EPA/FAROOQ KHAN I parenti di un indiano ucciso nell’attentato nel Kashmir. EPA/SANJAY BAID
I poliziotti indiani preparano una barriera per prevenire i disordini durante l’annunciata manifestazione di protesta dopo l’attentato contro il convoglio militare nel Kashmir, ai confini tra India e Pakistan. EPA/FAROOQ KHAN I parenti di un indiano ucciso nell’attentato nel Kashmir. EPA/SANJAY BAID
I poliziotti indiani preparano una barriera per prevenire i disordini durante l’annunciata manifestazione di protesta dopo l’attentato contro il convoglio militare nel Kashmir, ai confini tra India e Pakistan. EPA/FAROOQ KHAN I parenti di un indiano ucciso nell’attentato nel Kashmir. EPA/SANJAY BAID
I poliziotti indiani preparano una barriera per prevenire i disordini durante l’annunciata manifestazione di protesta dopo l’attentato contro il convoglio militare nel Kashmir, ai confini tra India e Pakistan. EPA/FAROOQ KHAN I parenti di un indiano ucciso nell’attentato nel Kashmir. EPA/SANJAY BAID

Il Kashmir torna a essere una polveriera. Questa zona di confine rivendicata a vario titolo da India e Pakistan sembrava essere finita sotto la teca del reciproco contenimento. Poi, il 14 febbraio l’odio è deflagrato di nuovo. Un attentatore suicida si è scagliato contro un convoglio militare indiano a Pulwama, nella valle del Kashmir, provocando la morte di oltre quaranta soldati, dilaniati dall’esplosione dell’autobomba. E l’esplosione è destinata a far rullare i tamburi di guerra tra i due Paesi, da 70 anni in guerra per questa terra aspra e da sempre martoriata dal conflitto. Era dal 1989 che a queste latitudini non veniva portato a termine un attentato così sanguinoso nel versante indiano, sulla strada che porta da Jammu al capoluogo Srinagar. «Un attacco suicida già rivendicato dai terroristi irredentisti islamici di Jaish-e-Mohammad (JeM, l’Esercito di Maometto) - riporta l’Ansa - che rivendicano l’indipendenza della porzione territorio himalayano a grande maggioranza musulmano amministrato dall’India». Il mix tra religione, irredentismo e conflitto tra Paesi vicini rischia davvero di trasformarsi nell’innesco di un ordigno che potrebbe deflagrare addirittura in una guerra. Il leader indiano Narendra Modi, che si è fatto una fama da duro e che respira già l’aria della campagna per le elezioni di parile, l’ha messa giù piana: «Se il nostro vicino - ha detto riferendosi al Pakistan - pensa di destabilizzarci con queste cospirazioni, commette un errore molto grave. Le nostre forze di sicurezza avranno mano libera per agire in tutti i modi contro i terroristi». Il portavoce del governo ha poi rincarato la dose, precisando che «l’India prenderà tutte le iniziative diplomatiche per ottenere il completo isolamento del Pakistan nella comunità internazionale». Il Pakistan respinge ogni accusa e sostiene che l’attentato è frutto dei contrasti tutti interni alla regione del Kashmir indiano. L’attentatore, in effetti, Adil Ahmad Dar, musulmano, viveva a pochi chilometri dalla zona dell’attentato. Non era addestrato, non era pachistano e in un video recente aveva descritto quelle che riteneva le umiliazioni infertegli dalle autorità indiane. Perché allora l’attentato, per quanto sanguinoso, viene spostato sullo scacchiere delle irrisolte contese geopolitiche tra India e Pakistan? Una risposta la dà un editoriale di The Hindu, giornale indiano, ripreso da Internazionale: «Il Pakistan deve spiegare - scrive il quotidiano - come mai Masood Azhar, il leader del Jaish-e-Mohammed, goda di tale libertà sul suo territorio, quando non del pieno appoggio della classe dirigente». La storia del Pakistan che appoggia formazioni estremiste e terroristiche islamiche non è nuova. Ne sanno qualcosa afghani e americani, che in quest’ultimo decennio hanno invano inseguito i talebani che si rifugiavano nella rete di protezione dell’Isi di Islamabad. Ironia della sorte, proprio in questi giorni i talebani sono al tavolo con gli americani per arrangiare una sorta di pace in vista del disimpegno militare del Pentagono. Ma il premier pachistano, Imran Khan, dopo le neanche tanto velate minacce dell’establishment di New Delhi, non ci sta. «Se state pensando di lanciare un attacco al Pakistan - ha avvertito - per il Pakistan non ci sarà altra opzione che rispondere con una rappresaglia». Narendra Modi, dal canto suo, tiene alta la tensione. E il suo partito, il Bharatiya janata party, soffia nel ventilatore del nazionalismo: «Non permetteremo - ha dichiarato a le Monde il presidente del partito, Amit Shah - che l’Assam diventi un altro Kashmir». La possibilità che si passi a una reazione militare da parte dell’India nei confronti del Pakistan non pare così remota. Non solo per motivi elettorali, ma anche per la resa dei conti definitiva nell’eterna questione del Kashmir. Piccolo particolare: tanto il Pakistan quanto l’India sono in possesso di armi nucleari. Ora, è plausibile che un eventuale conflitto prescinda dall’atomica. Ma a queste latitudini nulla è scontato. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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