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ORA È L’ANGOLA
A COLONIZZARE
IL PORTOGALLO

I sostenitori del candidato dell’Mpla, Joao Lourenco, delfino di dos Santos. EPA/MANUEL DE ALMEIDAJose Eduardo dos Santos: è stato al potere per 38 anni
I sostenitori del candidato dell’Mpla, Joao Lourenco, delfino di dos Santos. EPA/MANUEL DE ALMEIDAJose Eduardo dos Santos: è stato al potere per 38 anni
I sostenitori del candidato dell’Mpla, Joao Lourenco, delfino di dos Santos. EPA/MANUEL DE ALMEIDAJose Eduardo dos Santos: è stato al potere per 38 anni
I sostenitori del candidato dell’Mpla, Joao Lourenco, delfino di dos Santos. EPA/MANUEL DE ALMEIDAJose Eduardo dos Santos: è stato al potere per 38 anni

Nei giorni in cui a Luanda si sancisce, tra le polemiche e le contestazione dell’opposizione, la vittoria alle ultime elezioni dell’Mpla, il partito di Jose Eduardo dos Santos, al potere da 38 anni, a Lisbona non si sa bene se convenga festeggiare o preoccuparsi. Sì, perché tra Angola e Portogallo i ruoli sembrano essere stati capovolti dalla storia e dall’economia. Un’inchiesta del New York Times ha infatti dimostrato, numeri alla mano, come adesso sia stata la ricchezza degli angolani appartenenti all’élite vicina al clan dos Santos a tenere in piedi l’economia lusitana nei momenti di grave difficoltà.

Dal punto di vista strettamente economico, quindi, il Portogallo dovrebbe essere contento della vittoria, peraltro contestata dal partito di opposizione Unita, dell’Mpla di dos Santos: gli investimenti verso Lisbona dovrebbero infatti continuare a colpi di miliardi, com’è stato finora. C’è però un problema di tipo politico che più di qualcuno si pone, anche se il governo e la classe dirigente imprenditoriale sembrano orientate a soprassedere. E cioè: l’Angola, grazie alle entrate legate alla vendita del petrolio, di cui è tra i più importanti produttori al mondo, è diventato uno dei Paesi più ricchi, ma contemporaneamente, anche per la lunga stagione al potere di dos Santos, tra i più corrotti.

«Il denaro che tiene in piedi il Portogallo scrive il New York Times - arriva dall’Angola, una ex colonia in passato governata anche con metodi brutali, per centinaia di anni. Ora la classe dominante di questo Paese africano legata a dos Santos ha approfittato parecchio durante il suo lungo “regno” per iniettare miliardi nell’economia lusitana a fini di investimento personale. E questo flusso di denaro è diventato così importante per Lisbona che quando Luanda ha minacciato di tagliare i cordoni della borsa in risposta all’inchiesta per corruzione aperta dalla magistratura lusitana nei confronti di alcuni funzionari angolani , il ministro degli Esteri portoghese ha presentato subito le scuse».

«Siamo sempre stati convinti - ha dichiarato al quotidiano americano il giornalista portoghese Celso Felipe - che l’Angola fosse un Paese povero e che avesse bisogno di aiuto. Improvvisamente sono stati gli angolani a venire in nostro soccorso e a comprare beni che noi altrimenti non eravamo più in grado di comprare. È un po’ come se la colf che abbiamo assunto finisse per comprare casa nostra. Come si può intuire, è un po’ strano».

A Cascais, città sulla costa che ospitò i Savoia esuli dall’Italia, c’è un complesso residenziale che viene chiamato “palazzo degli angolani”. Qui c’è la sede degli uffici di Isabel dos Santos, miliardaria, figlia del presidente angolano e una delle donne più influenti in Portogallo per aver comprato partecipazioni di riferimento in giornali, banche e industria energetica. Gran parte degli appartamenti lussuosi di questa costruzione dall’architettura avveniristica è stata comprata proprio da investitori angolani del circolo dei dos Santos. In un periodo di crisi nera dell’industria edile, non solo del Portogallo, si può capire l’importanza di avere una domanda costante proveniente dall’estero. E per questo a Lisbona non si scandalizzano più di tanto se i soldi arrivano dalla ex colonia e se non si è ben certi della natura delle transazioni.

Marino Smiderle

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